5. Nicodemo Tranchedini a Francesco Sforza 4 aprile 1458

Illustrissimo principe et excelsissimo signor mio post humilimam recomendationem. Heri sera, ad nocte, hebi le vostre de 29 et 30 del passato, cum le quale anday questa matina al magnifico Cosimo a Carezo. Lessele et essendo qua pur simili avisi disse che erano cose da volerle ormay intendere meglio et che havia caro conducessi hogi, depoy disnare, messer Angelo Azaioli a Carezo, perché potessimo discutere quel fosse da fare. Condussilo et trovamo Cosimo che se era adormentato drieto disnare et nel svegliarsi se trovò fredo, in modo che, rasonando poy cum luy ala presentia de ambedoy li figlioli, gli prese poy alquanto de febre calda, de che me dolse per omne rispecto, presertim perché me paria fosse intrato in un savio et laudabile rasonamento, como quello che havia havuto termin[e a] pensarvi, licet in omne modo sia prudentissimo. Vedendo noy ch’el se abatia per la febre, mozamo el rasonamento et restamo de tornare domane o quam primum intendessimo fosse in aptitudine da ciò. Già luy havia perhò facte alcune proposte: l’una che il papa* et re siano unum et idem, posto che faciano tale viste del contrario, quale luy extimava fossero fictione, per mantenere credito al papa cum l’altre potentie italiche et extere, ma che forse ancora tale viste procedono perché il re non extima el papa como quello ch’el cognosce da poco et sa non gli po’ scapare dele mane, sì per la contiguità deli stati et sì perché el papa è in governo et possanza deli homini del re, che l’hanno ad condure sempre ad tute le voglie de soa mayestà, et per questa concludia ch’el conte Iacomo, quale el re se ha arecato per falcone in mane o cane al’asse, habia ad havere bona conditione col papa et che, mandandossi ambaxatore al papa como chiede et insta, ne habia a resultare che fiorentini, senesi et bolognesi habino a concorere con la chiesa a mantenere el conte Iacomo in ordine ale voglie del re sempre, il che non fa per vostra celsitudine principalmente né per veruna del’altre potentie de Italia, et conclude qui Cosimo che, qualunche se arecharà a dare favore o provisione al conte Iacomo, de tracta se leva dala devotione vostra et passa ad quella del papa, re et conte Iacomo, et ad questo modo el re viene a levare reputatione et amicicie dal canto vostro et deli amici vostri et darla ad sé e ali soy et che, attenta la natura irrequieta del re, perseverarà sempre de male in pegio et che meglio se gli pò remediare al presente che quando ve havesse spazati per vili, cioè ch’el temiate, et che ve havesse desarmati de reputatione et amicicie etc. Propose ancora che gli paria impossibile non per vostro defecto, ma per l’ambitione del re, che may fossevo amici, né che may se fidasse de vostra illustrissima signoria, ala quale, se bene scrive de soa mane et dà bone parole, el fa per adormentarvi ali facti de Zenoa et tirare quella posta et perché anche el lassiate bene assectare el facto del conte Iacomo et che se vengha soa mayestà ad impatronire de Siena et de Romagna, il che gli viene a confermare tuto el stato dela chiesa et dargli poy scalla ad maiore cose, como quello che intende le divisione de Italia etc. Poy, como savio veramente, disse che circa ad questi effecti ce seria da dire per tre dì et che non dubitava intendevate queste cose meglio che tuti l’altri, ma che, per rispecto ala diffidentia deli italiani, maxime de quelli che possono, et perché la brigata se è arechata ad non volere nova spesa né impresa, luy intende male el remedio ad questi inconvenienti, presertim parendogli che vostra sublimità et questa excelsa comunità non siate bastante o piutosto non vogliate arecarvi adosso de dare quiete ad tuti l’altri cum dare brigha et spesa a voy medesimi. Et alhora, voltandossi ad meser Angelo et noy altri, disse: «Hoc opus, hic labor est. Che rimedio cognoscete voy ad queste cose? Dite mo vuy». Messer Angelo mostrò sperare in la venuta de Bartolomeo da Racanati. Così mo disse che non extimò may soa andata, meno extimava la venuta, et che inanti tracto el re ve havia transtullati più che doy mesi de bono cum dicta andata et che non dubitava che, tornando, tornaria cum zerro. Io resposi essere stato in continuo parere che la natura del re rechiedessi gli fosse mostro animo et dicto el vero, ma cum umbra de bon parentado et affectione et cum omne bona maniera et per uno deli vostri savio et reputato et che como da luy poy havesse ben scoperta la piagha et ch’io ne havia scripto ad vostra celsitudine et che in dies io ero più fresco ad questo medesimo parere, quale, quando fosse mo facto o in fieri, me piaceria ancora più etc. Non so chi me lo contradicesse. Et cum questo pegiorando Cosimo, che spero perhò non haverà male, ce spizamo. Non so dove terminaremo questo rasonamento, ma dico ben questo .. signore: che ormay le cose hano viso de scaldarsi et quando pur non ve fosse data risposta satisfacevele, facendo pur per vostra illustrissima signoria grandemente mantenervi queste reputatione de Toscana, ricorderò cum la mia solita confidentia doe cose ad vostra sublimità: l’una che, quando volete più una cosa qui che un’altra, scriviate secretamente ad Cosimo el parere o desiderio vostro et luy ve lo adapterà sempre et non state in sul dire: «Io voria intendere da loro» etc., perhò che, come so intendete meglio di me, li governi populari sono alieni et diformi dal’altri et non pò Cosimo continuamente essere in palazo et fare como solia, ma quando direte: «Egli è da fare cossì», so ch’el potrà et saperà fare et faralo meglio che may; l’altra è che, intendendo voy che senesi habino ad essere molestati, non siate lento ale loro provisione, perhò che intendono el bixogno loro, quanto sonno scossi de denari et de amici et de victuaglie et quanto pericolo portano per essere novi al governo, et cum quante inimicitie l’hano aquistato et quanto el loro paese è debile et quanti soldati sonno sviati etc. se atacherano ali rasori per non capitare male, il che non interveria da questo anno in là, perhò che hano da fare un gran ricolto, se lo farano, et etiam hanno ordinate le intrate loro in modo che da questo anno in là se potranno meglio aiutare et havere quella pacientia che paresse a vostra celsitudine, la quale in vero pò de quella città quel ne potesse may signore et non meno che de alcune dele vostre. Iterum et sempre me recomando ad vostra sublimità, ala quale daria deli avisi del signor de Faenza et cose de Romagna se non fossi certo intendete tuto da loro medesimi et dali vostri. El signor de Faenza avisa Cosimo essere chiarito dal conte Iacomo, per mezo de un suo cancelliere, che non ha bon mezo fra il re et luy et che, se vole remetersi in luy, gli farà bon servicio. Et questo medesimo dice dicto .. signore havere da meser Matheo Malferito et da ser Antonio da Pesaro. Domanda conseglio a Cosimo, quale gli recorda non se parta ad verun modo dal mezo vostro. Ex Florentia 4 aprilis 1458.
Servulus Nichodemus.

* Può essere il caso di rilevare che nel 1457 papa Callisto III inserì la festa della Trasfigurazione nel Calendario liturgico romano in seguito alla vittoria ottenuta sui Turchi a Belgrado il 6 agosto 1456. Si veda al proposito Francesco Sforza a Pietro da Gallarate 15 marzo 1458.

Lascia un commento