La Serie Giorgi-Sforza

Prima che venisse concepita presso la cancelleria sforzesca la Serie Giorgi-Sforza, furono compiuti dei tentativi che ritroviamo nelle Lettere Avantesto Giorgi [1], missive estranee alla serie. Le Lettere Avantesto Giorgi rappresentano un problema rilevante, in quanto occorre giustificarne non solo la presenza, ma anche le caratteristiche, tanto più se si vogliono considerare autentiche le missive della serie.
A un primo esame la corrispondenza tra Francesco Sforza e Corradino Giorgi pare comprendere le seguenti lettere:
a) 28 lettere inviate dall’ambasciatore al duca di Milano (si tratta di GS1, GS2, GS3, GS6, GS8, GS9, GS10, GS11, GS12, GS13, GS15, GS16, GS17, GS18, GS19, GS21, GS22, GS23, Giorgi1-Av, Giorgi2-Av, Giorgi3-Av, Giorgi4-Av, Giorgi5-Av, Giorgi6-Av, Giorgi7-Av, Giorgi10-Av, Giorgi11-Av e Giorgi12-Av);
b) 17 decifrazioni di lettere cifrate dell’inviato sforzesco (si tratta di GS2-Dec, GS6-Dec, GS8-Dec, GS11-Dec, GS12-Dec, GS13-Dec, GS15-Dec, GS16-Dec, GS18-Dec, GS21-Dec, Giorgi3-Av-Dec, Giorgi4-Av-Dec, Giorgi5-Av-Dec, Giorgi9-Av-Dec, Giorgi10-Av-Dec, Giorgi11-Av-Dec e Giorgi12-Av-Dec);
c) 11 lettere inviate da Francesco Sforza al suo ambasciatore (SG4, SG4-All, SG5, SG7, SG7-PS, SG14, SG14-All1, SG14-All2, SG20, SG20-PS e SG24);
d) 2 documenti nei quali Corradino Giorgi riporta in cifra missive a lui spedite da Ludovico Bolleri (GS8-All BG1 e GS15-All BG2);
e) 2 minute di lettere firmate «Conradinus de Giorgiis» scritte dal medesimo cancelliere autore delle 17 decifrazioni (Giorgi7-Av e Giorgi8-Av).
Cerchiamo di operare una prima ricostruzione della Serie Giorgi-Sforza.

3.1. LA SEQUENZA PRINCIPALE DELLA SERIE GIORGI-SFORZA
La sequenza principale della Serie Giorgi-Sforza è la seguente: GS1 ← GS2/GS3 ← SG4/SG4-All/SG5 ← GS6 ← SG7/SG7-PS ← GS8/GS8-AllBG1/GS9/GS10/GS11 ← SG14/SG14-All1/SG14-All2 ← GS17 ← SG20/SG20-PS ← GS23.  
Nell’esporre qui di seguito i collegamenti esistenti fra le lettere abbiamo preferito andare a ritroso, partendo dalla fine della sequenza. Mediante alcuni espedienti grafici abbiamo poi evidenziato le parole chiave che pongono le missive in relazione.
GS23 (11 maggio 1458) simula la ricezione di SG20 (1° maggio 1458) ed SG20-PS (2 maggio 1458).
Per quanto riguarda SG20, Corradino Giorgi riferisce che «A VIII del prescente, a hore XXII, per lo prescente cavalario recevete le de vostra signoria, le qual intexe la domane matina fece l’ambasciata de vostra signoria a questo illustrissimo signore, per resposta dela qual, respondendo de parte imparte, dice», cui segue una ripresa puntuale dei temi espressi dal duca di Milano in SG20. Per quanto riguarda invece SG20-PS, in questa missiva il duca di Milano scrive: «facta dicta ambassata, […] volemo che subito retorni da nuy». E Corradino Giorgi replica: «Facta l’ambasciata […], cambiato p venire via he per exquire quanto m’à scripto vostra signoria, ma questo illustrissimo signore non ha voluto per neguno modo me parte».
SG20 (1° maggio 1458) simula la ricezione di GS17, missiva del 18 aprile 1458: «Replicando al scrivere che ne fay per le toe lettere de dì 18 aprilis sopra le risposte havute da quello illustre signore .. duca, del che etiam la soa signoria ne scrive per una soa succinctamente referendosi ad quello che ad ti dice havere risposto diffusamente etc., te dicemo».
GS17 (18 aprile 1458) simula la ricezione di SG14 (6 aprile 1458) ed SG14-All2 (7 aprile 1458). In quest’ultima lettera leggiamo: «Novamente siamo avisati che quello illustrissimo .. signore duca ha mandato una gran multitudine de zente in le terre de messer Aluyse Bollero et de messer Honorato, conte de Tenda, quale non solamente hano tolto Centallo, ma etiandio discorso el payse et assacomanato et robato molti lochi […]. Pertanto volemo et te commandiamo che subito te debii trovare con la signoria soa et dolerte de questo cossì insolente et deshonesto acto […] veramente havemo supportato tanto le insolentie del prefato signore .. duca cossì nel facto de quelli de Coconate come in queste altre cose che non le possemo supportare più». E queste sono le parole dell’inviato milanese con le quali si vuole simulare la ricezione di SG14-All2: «Poy ly feci l’ambasciata ho vero lamenta per parte de vostra signoria, monstrandoli le littere me havea scripto vostra signoria circha quela materia […]. Il dy scequente me fece dire che le insolentie facte contra domino Honorato, conte de Tenda, he cusì contra le altre terre de domino Aloysse Bollero erano facte contra et preter voluntatem suam». Ma Corradino Giorgi ha ricevuto anche SG14. Alla fine di questa missiva Francesco Sforza scrive infatti: «Tu intenderai quello te scrivemo per l’altra nostra lettera circa la novità facta a quelli nostri adherenti et recommendati, […], et, non revocando la signoria soa le zente dal’impresa, volemo vegni via, ma, quando le revocasse, siamo contenti resti lì per solicitare la liberatione de messer Aluyse et fare quanto havemo dicto de sopra». E l’ambasciatore, «intendendo la bona e optima dispositione he voluntà de questo signor circha a questi facti», delibera «de non partirme he de solicitare la expeditione dela cossa», perché constata che «per la executione dela revocatione dela gente he dele insolentie facte soa signoria manda el spectabile cavalero de Santo Iohanne, domino frate Georgio da Piozascho, comandatore e gubernatore de Vercelle, parente strecto de dicto domino Aloysse».
SG14, del 6 aprile, segnala la ricezione di GS8 e GS9, lettere del 14 marzo, di GS10, del 17 marzo, di GS11, del 19 marzo, e di GS8-AllBG1 («Havemo recevuto quatro toe littere date a XIIII°, XVII et XVIIII° del passato, con le introcluse copie de duy scripti de messer Aluysio Bolleri»).
GS8 (14 marzo 1458) simula la ricezione di SG7 ed SG7-PS (entrambe del 26 febbraio 1458).
In SG7 leggiamo: «consyderando che per scrivere de soa excellentia non se specifica alcuna particulare cagione deli movimenti dela prefata serenità del re de Sicilia […], ne era caduto in pensero se forse la soa serenità, como reputandosi offesa per la presa de domino Aluyso Bollero […] deliberasse con arme vindicare tale novitade […] et, quando questa fosse la cagione, nuy […] fiducialmente gli saperiamo ricordare et confortare che non volesse per questa picola cosa lassare accendere uno grande fuoco, ma volesse lassare dicto domino Aluyse […]. Et nuy etiam ne prehendariamo contenteza et piacere […] Quando pure altra cagione gl’intervenesse, voglia soa excellentia farcene chiari, perché gli faremo resposta più precisa et cognoscerà che non mancharemo de quello ne stringa la fraternale amicicia et l’affinitate è tra nuy», parole cui Corradino Giorgi, dopo avere avvisato che «A dì octo del prescente ho ricevuto le littere dela signoria vostra […] et in execucione de quele ha questo signore ho facto intendere lo X effecto de esse littere», replica così: «subiunse disse [1] che la serenità del re Renato non havea altra casone che per lo X facto de domino Aloysio Bolero, alo quale gli replicai quanto me ha scripto la signoria vostra, recordandoli ancora lo piacere ne farebe ala signoria vostra».
Per quanto riguarda SG7-PS, invece, in questa missiva Francesco Sforza si raccomanda che Corradino Giorgi faccia la sua ambasciata «ad quello signore in secreto et, s’el te fosse rechiesto che tu la mettessi inscripto o vero che tu la refferissi denanzi al suo Consiglio, excusati como da ti che tu non hai commissione de fare tale relatione se non con la soa excellentia». Obbedendo a quanto scritto dal duca in SG7-PS, Corradino Giorgi, alla richiesta di Ludovico di Savoia di dargli «in[sc]ripto quelo che oretenus gli havea explicato per parte dela signoria vostra», risponde, «subridendo, ch’era certo soa signoria non me rechederea cossa me havesse rendere vergogna, però che non havea comiscione de cusì fare».
SG7, del 26 febbraio, simula la ricezione di GS6, del 13 febbraio precedente («Restiamo novamente per le toe de dì XIII del presente ciffrate advisati de quanto intendi essere deliberato per la maiestà del re de Franza circa la liberatione del spectabile messer Aluyse Bollero et etiam dela dispositione de quello illustrissimo signore duca intorno ad questo»).
GS6 (13 febbraio 1458) simula la ricezione di SG4 (11 gennaio 1458), SG4-All (10 gennaio 1458) ed SG5 (18 gennaio 1458).
In SG4 Francesco Sforza avvisa il suo inviato in Savoia che gli manda «lo presente nostro cavallaro cum la polvere da fare dormire […] la quale se vole operare et dare secundo el tenore dela inclusa scriptura». La «inclusa scriptura» è SG4-All, documento intitolato «Lo modo da dare la polvere da far dormire le guardie». In SG5, poi, il duca scrive: «perché hora tu ne scrivi che misser Aluyse dice che […] el voria pigliare una de doe vie, zoè andare a Sasello overo ad Busena nel Dalphinato per la via del fiume del Rodano mediante la provisione d’una BARCHA […], dela quale BARCHA voria che nuy facessemo la provisione, dicemo: primum che non haveressemo el modo de providere de dicta barcha, ma che, potendo et havendo luy el modo de fugire et de salvarsi, nuy glilo confortiamo», mentre «non havendo luy el modo de potere fugire et de salvarsi […] ello non se debia movere ad fare cosa alcuna, adciò non gli INTERVENISSE PEGIO», concetto ribadito verso la fine della missiva: «vogli avisare esso misser Aluyse che prima vogli bene pensare et repensare sopra questa cosa et non se mettere ad farla se prima el non conosca veramente che gli possa reuscire el pensero, perché, principiando la cosa et non gli possendo reuscire el pensero, gli poria INTERVENIRE PEZO». Corradino Giorgi, ricevute le lettere, risponde così: «ho facto intemdere per mie littere he cum grande fatiga al prelibato domino Aloysio Bolero la signoria vostra havere mandato la pXXolvere da far dormire cum el modo de usare quela he anchora la signoria vostra non havere via de potere providere ala BARCHA el rechedea et confortato per parte dela signoria vostra non se meta ad periculo se non cognosce poterne inscire securamente e senza scandalo, aciò non PEZORASSE li facti soi».
SG5, del 18 gennaio 1458, simula la ricezione di GS3, del 23 dicembre precedente («Havemo ricevuta la tua littera de dì XXIII del passato et inteso quanto tu ne scrivi»).
SG4 (11 gennaio 1458) simula che a essa sia allegata SG4-All (10 gennaio 1458) e la ricezione di GS2 (16 dicembre 1457). In quest’ultima lettera, che è in cifra, Corradino Giorgi scrive che Ludovico Bolleri gli ha fatto sapere che «vorea che la signoria vostra gli facese havere qualche pulvXXere che facese dormire». E così risponde il duca di Milano: «Havemo ricevuta la tua lettera in zifra […] te mandiamo lo presente nostro cavallaro cum la polvere da fare dormire che tu ne hay richiesta, […] la quale se vole operare et dare secundo el tenore dela inclusa scriptura, et te ne mandiamo dece prese per darne a dece persone». La «inclusa scriptura», come già sappiamo, è SG4-All, documento intitolato «Lo modo da dare la polvere da far dormire le guardie», all’inizio del quale si legge che «Le prese sono X per persone X».
GS2 e GS3, rispettivamente del 16 e 23 dicembre 1457, simulano l’invio di GS1, del 10 dicembre precedente.
Vediamo prima di tutto le relazioni fra GS3 e GS1. In quest’ultima missiva, riportando le parole del colloquio intrattenuto con il maresciallo di Savoia e commentandolo, l’inviato sforzesco scrive: «“Monsignore el maneschalcho. Voy lo dicti che ha comisso he rezerchato la destructione del prelibato signor, ma che né consta de questo né apare. […]”. Unde me resposte e disse: “Lo saperà bene il ducha de Mediolano per Andrea Maleta, qual monsignore ducha de Savoia ha mandato a Mediolano per informarlo ad plenum de questo facto”, e che, informato scia, vostra signoria remanerà tacita. […] Post hec sapia vostra signoria che le sopradicte cosse che dicheno questi sono tute paroloe che dano impagamento per aspectare LA RESPOSTA FARA’ IL RE DE FRANZA», parole che riecheggiano in GS3: «Con quanta instantia sapia ne possa fare per la liberatione de domino Aloyse Bollereo a questo illustrissimo signore, non posso havere havere da soa signoria altro che quelo ho scripto a vostra signoria, zoè che ha comisso cossa dela qual, quando vostra signoria sarà informata, remarrà tacita he che ha mandato Andrea Maleta, qual informerà vostra signoria ad plenum he altro non posso havere. Intendo fano questo solum per aspectare LA DELIBERATIONE DEL RE DE FRANZA, como per altre ho scripto a vostra signoria».
Passiamo quindi a GS2 e GS1. In quest’ultima missiva Corradino Giorgi riferisce prima che «questo signor congrega ly tri stati», poi che «Arcimbaldo […] hè restato luy cum ly soy guaschoni [3] he dice che l’è suo», informazioni confermate in GS2, dove leggiamo che «la congregatione de lXi tXXri stati, dela quale ho scripto ala la signoria vostra, g’è per li soi facti» e che «duca de Savoya fa gente d’arme in Pedemonte par trare Arcembaudo fora de Cental, quale dice hè suXo, como ho scripto la signoria vostra».

3.1.1. Le lettere estranee alla sequenza principale
Dalla ricostruzione della sequenza principale della Serie Giorgi-Sforza restano escluse numerose missive. Si tratta di GS12, GS13, SG14-All2, GS15, GS16, GS18, GS19, GS21, GS22, SG24 e tutte le Lettere Avantesto Giorgi.
Le prime dieci lettere (quelle contrassegnate dalle sigle «GS» e «SG») formano due microsequenze intrecciate alla sequenza principale che esamineremo più avanti. Riteniamo invece, come già accennato, che le Lettere Avantesto Giorgi non facciano parte della serie e cercheremo di dimostrarlo.
Per affrontare il problema, può essere utile dividerle in 2 gruppi: il Gruppo 1 comprende le missive da Giorgi1-Av a Giorgi8-Av; il Gruppo 2 le lettere da Giorgi9-Av a Giorgi12-Av. Il Gruppo 1 va esaminato in relazione a GS6, il Gruppo 2 in relazione a GS8.

3.2. GS6 E IL GRUPPO 1 DELLE LETTERE AVANTESTO GIORGI
Prima di procedere al confronto fra GS6 e il Gruppo 1 delle lettere avantesto, non è inutile precisare quale sia il significato di una parte dell’esordio di GS6.

3.2.1. Un soggetto da chiarire
Corradino Giorgi scrive: «Questi dì passati scrise la signoria vostra como lo re de Franza volia che domino Aloyse Bolero gli fose mandato et che per questo mandava ambaxadori da questo signore li quali glilo devevano conduere poi immediate. Per altre mie scrise como intendeva più largamente, zoè lo prelibato re volere ad ogni modo questo signore gli mandase lo predicto domino Aloysio Bolero e che per questo remandava misir Uberto Valueto, lo quale era tornato, como per altr mie ho scripto, dal prefato re>>.
Qual è il soggetto delle parole sottolineate? Carlo VII o Ludovico di Savoia? E «dal prefato re» è un complemento di moto da luogo dipendente da «era tornato» oppure di moto a luogo in relazione a «remandava»? Si intende dire: «Carlo VII vuole che in ogni modo il duca di Savoia gli mandi Ludovico Bolleri e per questo motivo ha rimandato presso il duca sabaudo Umberto Valueto, che, come ho già avvisato, era tornato dal re di Francia», oppure: «Carlo VII vuole che in ogni modo il duca di Savoia gli mandi Ludovico Bolleri e per questo motivo il duca ha rimandato dal re di Francia Umberto Valueto, che, come ho già avvisato, era tornato»?
Confortati da Giorgi6-Av, riteniamo che l’interpretazione corretta sia quest’ultima.
In Giorgi6-Av, infatti, si legge: «A questa hora ho intexo che qui sce aspeta ambasatore de dì in dì del re de Franza, quali veneno per conduere domino Aloyse Bolero dal prenominato re […]. E questo hè la resposta ha facto el re de Franza alo ambasatore de questo signore, lo quale è retornato, como per altre mie ho advisato la signoria vostra, lo quale anchora de presente fide remandato dal predicto re».
Si può dunque affermare che, per quanto riguarda GS6, il soggetto di «remandava» sia il duca di Savoia e che «dal prefato re» sia un complemento di moto a luogo in relazione a «remandava».
A questo punto dobbiamo prendere in considerazione un altro aspetto delle parole sopra riportate di GS6. In esse, infatti, l’ambasciatore sforzesco si riferisce a sue precedenti lettere inviate a Milano. È quindi opportuno introdurre e definire cosa s’intenda per rapporto tema/rema.

3.2.2. Il rapporto tema/rema
Può essere utile ricordare quanto scrive Francesco Senatore a proposito delle missive degli ambasciatori: «Si potrebbero dividere le lettere in due categorie, identificando due diversi tipi di narratio: le lettere di riscontro e quelle che fanno seguito ad altre, con una continuazione dell’azione informativa. Nel primo caso ci troviamo di fronte a “responsive” vere e proprie, inconcepibili nella loro giustificazione documentaria e organizzazione testuale senza il precedente delle lettere o istruzioni ducali. […] Nel secondo caso (quello delle lettere per così dire “informative”) la narratio prevede il riferimento dell’ambasciatore alle lettere già spedite, al cui contenuto si accenna rapidamente. Le parole chiave sono quindi del tipo “Per altre mie scrisi/avisai”, dopo le quali si indicano la data delle lettera [4] e, eventualmente, il suo contenuto. Il discorso prosegue con una subordinata relativa che rinvia alla notizia data nella lettera precedente, ottenendo così l’immediato aggancio al contesto (“La qualle fu…”, “Quello che dapoi è seguito è che…”) con un semplice avverbio (“Tandem è seguito che”), con l’espressione “Mo’ aviso quella che…”».
Così prosegue Senatore: «Il testo è articolato in capoversi (“capitoli”) […]. Ogni capoverso era articolato secondo la successione tema-rema […]: si richiama il passo della lettera cui si risponde (=ciò che è noto), spesso con le medesime parole […], e si passa quindi a rispondere punto per punto (=ciò che è ignoto, le informazioni nuove). La redazione di una lettera di mero riscontro (una responsiva “pura”), prevedeva che si trascrivessero prima, sulla minuta, gli incipit ricavati dai capoversi della lettera ricevuta, ovvero ogni suo singolo tema, seguito da uno spazio lasciato in bianco per il corrispondente rema. Così si procedeva almeno nella cancelleria sforzesca quando si doveva rispondere in una sola lettera a diversi dispacci degli ambasciatori» [5].
Senatore, affermando «si richiama il passo della lettera cui si risponde», pare limitare il rapporto tema/rema alle relazioni che intercorrono fra le lettere del duca e quelle del suo ambasciatore, ma è evidente che esso doveva riguardare anche le lettere degli inviati da Senatore definite «informative». Infatti, se un ambasciatore si riferisce al «contenuto» di sue «lettere già spedite», è evidente che questo contenuto rappresenta il tema, ossia «ciò che è noto», di sue missive precedenti.
La precisazione è necessaria, perché, come vedremo, in GS6 Corradino Giorgi espone il tema non di precedenti lettere ducali, bensì di sue stesse missive.
Prescindendo dunque da chi sia il mittente delle lettere cui viene fatto riferimento, prescindendo anzi dallo stesso genere epistolare cui le missive qui in esame appartengono, per chiarire il più possibile quale sia il senso del rapporto tema/rema è opportuno ricorrere alle parole di Cesare Segre: «Ogni enunciato conterrebbe di solito un tema, cioè una parte che si riferisce a fatti già esposti in precedenza nel discorso, o in altro modo noti o dati per tali, e un rema, una parte che contiene le informazioni nuove a formare le quali si destina l’enunciato (gli Americani usano, in corrispondenza a tema e rema, topic e comment). L’importanza di questa analisi sta nel fatto che il tema rinvia a punti precedenti del discorso» [6].
Anche quanto scrive in proposito Angelo Marchese è interessante: «Il tema o topic è dunque l’argomento di cui si parla: uno dei compiti decifratori del ricevente consiste nell’individuazione del topic o dei topics di un testo» [7].
Possiamo dunque stabilire quattro regole.
Regola 1: se s’individua il tema di una lettera X all’interno di una lettera Y a essa successiva, è possibile identificare la lettera X, nel caso in cui, ovviamente, se ne sia in possesso.
Regola 2: se s’individua un tema di una lettera X all’interno di una lettera Y a essa successiva che appartiene a una serie, è possibile escludere dalla serie le lettere di cui si sia in possesso che, per quanto simili, non si possano identificare con la lettera X.
Regola 3: se un tema di una lettera X, o parte di esso, ricorre come se si trattasse di qualcosa d’ignoto in una lettera Y successiva che appartiene a una serie, la lettera Y esclude la lettera X dalla serie cui appartiene.
Regola 4: se un tema o parte di esso di una lettera Y che appartiene a una serie ricorre in una lettera X successiva come se si trattasse di qualcosa d’ignoto, la lettera Y esclude la lettera X dalla serie cui appartiene.
Possiamo quindi procedere nell’analisi, avendo come obiettivo di chiarire quale relazione intercorra fra GS6 e il Gruppo 1 delle Lettere Avantesto Giorgi.

3.2.3. Le lettere disperse
Poiché dobbiamo soffermiamoci più attentamente sulle parole di GS6 su esposte, pare non inutile riproporle di nuovo qui. Come ormai sappiamo, in esse Corradino Giorgi, riferendo il contenuto di sue missive già inviate a Milano, scrive: «Questi dì passati scrise la signoria vostra como lo re de Franza volia che domino Aloyse Bolero gli fose mandato et che per questo mandava ambaxadori da questo signore li quali glilo devevano conduere poi immediate. Per altre mie scrise como intendeva più largamente, zoè lo prelibato re volere ad ogni modo questo signore gli mandase lo predicto domino Aloysio Bolero e che per questo remandava misir Uberto Valueto, lo quale era tornato, como per altr mie ho scripto, dal prefato re».
Il testo di questa missiva autorizza a ipotizzare l’esistenza di 3 lettere, che chiamiamo A, B e C, in ordine cronologico progressivo, mediante le quali Corradino Giorgi avrebbe avvisato il duca di Milano della deliberazione del re di Francia.
Il duca di Milano risponde così: «Conradino. Restiamo novamente per le toe de dì XIII del presente ciffrate advisati de quanto intendi essere deliberato per la maiestà del re de Franza circa la liberatione del spectabile messer Aluyse Bollero».
Questa frase non significa: «Una tua lettera del 13 di questo mese ci riferisce di nuovo», bensì: «Grazie a una tua lettera del 13 di questo mese siamo appena adesso venuti a sapere».
Il duca di Milano non ha quindi ricevuto le lettere A, B e C cui si accennava sopra.
L’avverbio «novamente», infatti, che deriva dall’avverbio latino «nove», ossia «recentemente, poco tempo fa, ultimamente» [8], non vuol dire «di nuovo, un’altra volta» e non «esprime il ripetersi secondo modalità pressoché immutate e costanti di un fatto […] di una situazione», bensì significa «da poco tempo, poco tempo fa; recentemente, di recente, ultimamente, da ultimo; testé, appena (e indica l’immediatezza di un fatto […])» [9]. Che sia questo il significato di «novamente» lo conferma quanto scrive Francesco Sforza in SG13-All2, del 7 aprile 1458: «Novamente siamo avisati che quello illustrissimo .. signore duca ha mandato una gran multitudine de zente in le terre de messer Aluyse Bollero et de messer Honorato, conte de Tenda, quale non solamente hano tolto Centallo, ma etiandio discorso el payse et assacomanato et robato molti lochi». Queste iniziative militari sabaude, come testimoniano CaS1, Ardizzi5 e Ardizzi7, rispettivamente del 2, 3 e 6 aprile 1458, vengono intraprese da Ludovico di Savoia all’inizio dello stesso mese, sicché, scrivendo in SG13-All2 «Novamente siamo avisati», il duca non vuol dire: «Siamo stati avvisati per la seconda volta», bensì: «Siamo stati appena adesso avvisati».

3.2.4. Le lettere a disposizione
Le lettere che paiono maggiormente avvicinarsi alle lettere disperse A, B e C, sono Giorgi2-Av, Giorgi3-Av, Giorgi6-Av e Giorgi8-Av. Esaminiamo alcuni aspetti di queste ultime missive.
In Giorgi2-Av, del 21 gennaio, leggiamo: «Item sapia vostra signoria che domino Umberto Valueto hè retornato de Franza, dove era mandato per ly facti de domino Aloyse Bolero». Notizia confermata da Giorgi3-Av, del 23 gennaio, missiva molto simile a Giorgi2-Av, ma scritta in cifra: «Item, miser Umberto XX Valuneto hè retornato de Franza, dov’era mandato[10] per li facti de d’Aoise XX Bolero».
In Giorgi6-Av, del 26 gennaio, è scritto: «A questa hora ho intexo che qui sce aspeta ambasatore de dì in dì del re de Franza, quali veneno per conduere domino Aloyse Bolero dal prenominato re […]. E questo hè la resposta ha facto el re de Franza alo ambasatore de questo signore, lo quale è retornato, como per altre mie ho advisato la signoria vostra, lo quale anchora de presente fide remandato dal predicto re, ma non intendo la casone».
In Giorgi8-Av, infine, missiva della sera del 26 gennaio, si legge: «Non obstante per le alligate habia scripto a vostra signoria li ambaxadori del re de Franza dover venire qui per condure miser Aluyse dal prefato re et questa esser la risposta fatta al’ambassatore de questo signore, questa sera ho inteso lo facto altramente, zoè che omnibus modis el prelibato re de Franza vole che miser Aluyse Bolero gli sia mandato et questo è ad petitione et rechesta del re Renato».
A questo punto compiamo una parafrasi delle informazioni che l’ambasciatore sforzesco riferisce a Francesco Sforza, dividendola in fasi.

  Parafrasi 1
Fase 1 Corradino Giorgi avvisa del ritorno di Umberto Valueto dalla Francia.
Fase 2 Corradino Giorgi riferisce che sono attesi ambasciatori di Carlo VII, che vengono per condurre Ludovico Bolleri dal re. È questa la risposta data da Carlo VII a Umberto Valueto, che il duca di Savoia ha rimandato in Francia, anche se l’inviato milanese non sa il perché.
Fase 3 Corradino Giorgi riferisce di avere compreso i fatti diversamente: Carlo VII, su petizione e richiesta di Renato d’Angiò, vuole che in tutti i modi gli sia mandato Ludovico Bolleri.

3.2.5. Immaginare le lettere disperse
Prima di procedere a ulteriori considerazioni, è necessario fornire alle ipotizzate lettere A, B e C, un contenuto minimo verosimile: possiamo ricavarlo da GS6.
Il contenuto della lettera B lo ritroviamo in questa frase: «Questi dì passati scrise la signoria vostra como lo re de Franza volia che domino Aloyse Bolero gli fose mandato et che per questo mandava ambaxadori da questo signore li quali glilo devevano conduere poi immediate».
Il contenuto della lettera C è invece presente nelle parole che seguono:«Per altre mie scrise como intendeva più largamente, zoè lo prelibato re volere ad ogni modo questo signore gli mandase lo predicto domino Aloysio Bolero e che per questo remandava misir Uberto Valueto […] dal prefato re».
E siamo finalmente giunti alla lettera A: «lo quale [11] era tornato, como per altr mie ho scripto».
Trasformando i tempi al presente e disponendo le missive in ordine cronologico, si possono immaginare in modo verosimile le lettere A, B e C.
Lettera A: «Sapia vostra signoria che domino Umberto Valueto hè retornato de Franza».
Lettera B: «Scrivo al presente la signoria vostra como lo re de Franza vole che domino Aloyse Bolero gli sia mandato et che per questo manda  ambaxadori da questo signore li quali glilo deveno conduere poi immediate».
Lettera C: «Non obstante per le alligate habia scripto a vostra signoria como lo re de Franza volia che domino Aloyse Bolero gli fose mandato et che per questo mandava ambaxadori da questo signore li quali glilo devevano conduere poi immediate, ho poy inteso lo facto più largamente, zoè lo prelibato re volere ad ogni modo questo signore gli manda lo predicto domino Aloysio Bolero e che per questo questo signore ha remandato misir Uberto Valueto dal prefato re».
D’ora in poi, quando parleremo di lettera A, B e C, ci riferiremo alle lettere qui sopra delineate; quando invece si parlerà di <<tema>> della lettera A, B e C, il riferimento sarà al tema di queste lettere esposto nell’esordio di GS6.
Anche per le lettere A, B e C, è opportuno compiere una parafrasi delle informazioni.

  Parafrasi 2
Fase 1 Corradino Giorgi avvisa del ritorno di Umberto Valueto dalla Francia.
Fase 2 Corradino Giorgi riferisce che Carlo VII vuole che Ludovico Bolleri gli sia mandato e per questo motivo invia due ambasciatori che immediatamente lo conducano alla sua presenza.
Fase 3 Corradino Giorgi riferisce di avere compreso i fatti con più abbondanza di particolari: Carlo VII vuole che in ogni modo Ludovico di Savoia gli mandi Ludovico Bolleri e per questo motivo il duca ha rimandato dal re Umberto Valueto.

3.2.6. Lettere a confronto: identificazioni impossibili
Passiamo ora a confrontare le lettere.
Nella seconda colonna della tabella sotto abbiamo GS6; nella terza e nella quarta la lettera B e la lettera C, ossia le missive di cui abbiamo immaginato il contenuto minimo prendendo spunto da GS6; nella quinta e nella sesta colonna Giorgi6-Av e Giorgi8-Av.
Se Giorgi6-Av e Giorgi8-Av fossero le lettere cui si riferisce GS6, si dovrebbe poter identificare la prima con la lettera B e la seconda con la lettera C. Tuttavia, come risulta evidente dalla tabella sotto, non è possibile compiere queste identificazioni, perché le informazioni che Corradino Giorgi risulta acquisire nella coppia di lettere B/C e Giorgi6-Av/Giorgi8-Av sono differenti.

  GS6 Lettera B Lettera C Giorgi6-Av Giorgi8-Av
Riga 1 Questi dì passati scrise la signoria vostra como lo re de Franza volia che domino Aloyse Bolero gli fose mandato et che per questo mandava ambaxadori da questo signore li quali glilo devevano conduere poi immediate. Scrivo al presente la signoria vostra como lo re de Franza vole che domino Aloyse Bolero gli sia mandato et che per questo manda  ambaxadori da questo signore li quali glilo deveno conduere poi immediate. Non obstante per le alligate habia scripto a vostra signoria como lo re de Franza vole che domino Aloyse Bolero gli sia mandato et che per questo manda ambaxadori da questo signore li quali glilo deveno conduere poi immediate, A questa hora ho intexo che qui sce aspeta ambasatore de dì in dì del re de Franza, quali veneno per conduere domino Aloyse Bolero dal prenominato re […]. E questo hè la resposta ha facto el re de Franza alo ambasatore de questo signore,[…] Non obstante per le alligate habia scripto a vostra signoria li ambaxadori del re de Franza dover venire qui per condure miser Aluyse dal prefato re et questa esser la risposta fatta al’ambassatore de questo signore,
Riga 2       lo quale anchora de presente fide remandato dal predicto re, ma non intendo la casone.  
Riga 3 Per altre mie scrise como intendeva più largamente, zoè lo prelibato re volere ad ogni modo questo signore gli mandase lo predicto domino Aloysio Bolero e che per questo remandava misir Uberto Valueto, lo quale era tornato […] dal prefato re   questo sera ho inteso lo facto più largamente, zoè lo prelibato re volere ad ogni modo questo signore gli mandi lo predicto domino Aloysio Bolero e che per questo questo signore ha remandato misir Uberto Valueto dal prefato re.   questa sera ho inteso lo facto altramente, zoè che omnibus modis el prelibato re de Franza vole che miser Aluyse Bolero gli sia mandato et questo è ad petitione et rechesta del re Renato.

Che le informazioni acquisite da Corradino Giorgi siano differenti lo conferma il fatto che il tema della lettera B non permette d’identificare la lettera B con Giorgi6-Av (si veda al proposito la Riga 1), perché in esso non si accenna né alla «resposta» di Carlo VII, né si riferisce che «qui sce aspeta ambasatore de dì in dì del re de Franza», motivi entrambi presenti in Giorgi6-Av.
In GS6, inoltre, subito dopo l’esposizione dei temi delle lettere A, B e C, si legge: «al prescente intendo questo signore, per non volere avere casone de mandare el predicto domino Aloysio Bolero dal prenominato re de Franza, havere deliberato, quam primum sciano venuti dicti ambaxadori, de farlo liberare e remeterlo in soa libertà, li quali ambaxadori dietim sono aspectati qui».
Il motivo dell’attesa degli ambasciatori francesi appare come se si trattasse di qualcosa d’ignoto, ma l’informazione non è nuova, perché in Giorgi6-Av già si era riferito che «qui sce aspeta ambasatore de dì in dì del re de Franza». GS6, dunque, esclude Giorgi6-Av dalla Serie Giorgi-Sforza.
Giova precisare che, se l’informazione fosse nota, Corradino Giorgi avrebbe aggiunto, per esempio, «come per altre mie ho scripto». Né pare si possa sostenere che essa non sia stata inserita nell’esordio di GS6 per non complicare la sintassi. Abbiamo infatti visto che, riportando il tema della lettera C («Per altre mie scrise como intendeva più largamente, zoè lo prelibato re volere ad ogni modo questo signore gli mandase lo predicto domino Aloysio Bolero e che per questo remandava misir Uberto Valueto»), per inserire il tema della lettera A («lo quale era tornato, como per altr mie ho scripto»), l’ambasciatore milanese non esita a iniziare una proposizione relativa dalla quale dipende un proposizione parentetica, al punto che diviene non immediato comprendere se «dal prefato re» dipenda da «remandava» (e quindi sia un complemento di moto a luogo) o da «era tornato» (e quindi sia un complemento di moto da luogo). Inserire l’informazione secondo la quale gli ambasciatori «dietim sono aspectati qui» nel tema della lettera B, per sottolineare che essa era già nota, sarebbe stato decisamente più agevole. Per esempio si sarebbe potuto scrivere in questo modo: «Questi dì passati scrise la signoria vostra como lo re de Franza volia che domino Aloyse Bolero gli fose mandato et che per questo mandava ambaxadori da questo signore li quali glilo devevano conduere poi immediate e che dicti ambaxadori  erano aspectati qui de dì in dì».
In GS6 il motivo dell’attesa degli ambasciatori francesi appare dunque come qualcosa d’ignoto.
Immaginiamo per assurdo che Francesco Sforza riceva Giorgi6-Av. Il duca di Milano verrebbe informato della «resposta» di Carlo VII e poi che «qui sce aspeta ambasatore de dì in dì del re de Franza».
Ricevendo poi GS6, il tema della lettera B dovrebbe indurre Francesco Sforza a ritenere che in esso il motivo della risposta di Carlo VII e dell’attesa degli ambasciatori francesi siano sottintesi. Ma leggendo poi che il suo inviato lo avvisa, come se si trattasse di un’informazione nuova, che gli «ambaxadori dietim sono aspectati qui», il duca di Milano non potrebbe che concludere che il motivo dell’attesa degli ambasciatori francesi non è sottinteso nel tema della lettera B e che quindi il tema della lettera B non consente d’identificare la lettera B con Giorgi6-Av, bensì si riferisce a un’altra missiva a lui non giunta.
In realtà, noi sappiamo che non si può immaginare che Francesco Sforza riceva Giorgi6-Av, perché GS6 esclude questa missiva dalla Serie Giorgi-Sforza. Quello che tuttavia ci preme sottolineare è come non sia possibile considerare il tema della lettera B una rielaborazione di Giorgi6-Av in cui il motivo della risposta di Carlo VII e dell’attesa degli ambasciatori francesi siano taciuti.
L’assenza nel tema della lettera B dei suddetti motivi, anzi, così caratterizzanti Giorgi6-Av, è un dato tale da prospettare una lettera B affatto diversa da Giorgi6-Av e sufficiente da implicare di per se stesso l’esclusione di quest’ultima missiva dalla Serie Giorgi-Sforza.
Neppure il tema della lettera C permette d’identificare la lettera C con Giorgi8-Av (Riga 3 della tabella sopra). In questa missiva l’inviato milanese prima riferisce che «el prelibato re de Franza vole che miser Aluyse Bolero gli sia mandato», poi che «questo è ad petitione et rechesta del re Renato». Soffermiamoci sulla seconda informazione.
Riteniamo che la sua assenza nel tema della lettera C sia un dato di per sé sufficiente a rendere impossibile l’identificazione della lettera C con Giorgi8-Av. È infatti poco verosimile che, nel momento in cui scrive il tema della lettera C, Corradino Giorgi non riporti un’informazione così importante. Se non lo fa, è perché Giorgi8-Av non appartiene alla serie ed è quindi come se non esistesse.
Immaginiamo in questo caso che Francesco Sforza non riceva Giorgi8-Av, perché la lettera va dispersa.
Ricevendo successivamente GS6, la lettura del tema della lettera C comporterebbe la perdita di metà del nuovo contenuto informativo della stessa lettera C.
Non si vuole con questo affermare che il tema di una lettera X debba riportare la lettera X nella sua interezza, ma non pare neppure ragionevole sostenere che il tema di una lettera X possa contenere solo una informazione delle eventuali due che, entrambe molto importanti, e per giunta assai brevi, rappresentano la parte nuova, e quindi il rema, della lettera X, con una perdita di ben il 50% del nuovo contenuto informativo di X.
Non si capisce poi in base a quale criterio si dovrebbe scegliere di riferire un’informazione piuttosto che un’altra.
Il tema della lettera C è quindi troppo sommario per permettere d’identificare la lettera C con Giorgi8-Av
Se tuttavia non si fosse convinti da questo argomento, ve n’è un altro, che, quanto meno da un punto di vista logico, pare difficilmente attaccabile. In Giorgi8-Av, infatti, non viene spiegato, come invece dovrebbe essere fatto per consentire la sua identificazione con la lettera C, che il ritorno di Umberto Valueto in Francia è da porre in relazione con la volontà di Carlo VII che in ogni modo il duca di Savoia gli mandi Ludovico Bolleri.
Immaginiamo che Francesco Sforza riceva Giorgi6-Av e Giorgi8-Av: verrebbe a sapere il duca di Milano per quale motivo Ludovico di Savoia rimanda Umbero Valueto in Francia? No. Anzi in Giorgi6-Av leggerebbe che l’inviato sabaudo «de presente fide remandato dal predicto re, ma non intendo la casone» (Riga 2). Il che implica che Giorgi8-Av non possa essere identificata con la lettera C.
Le lettere che Corradino Giorgi in GS6 riferisce di avere scritto non possono dunque essere quelle in nostro possesso, ossia Giorgi6-Av e Giorgi8-Av, e di conseguenza queste due missive non appartengono alla Serie Giorgi-Sforza.
Inoltre, non essendo identificabili con la lettera B e la lettera C, non è possibile sostenere che Giorgi6-Av e Giorgi8-Av siano state consegnate in ritardo a Francesco Sforza, ossia dopo la segnalazione del duca in SG7 della ricezione della sola GS6.
Passiamo ora dal confronto dei temi a un rapido confronto del lessico utilizzato nelle missive qui in esame. Come vedremo, le differenze non sono irrilevanti, perché contribuiscono a creare due sensi diversi.
Per quanto riguarda la Riga 1, notiamo innanzi tutto che nella lettera B si dice che «lo re de Franza vole», mentre in Giorgi6-Av Carlo VII risulta solo dare una «resposta» all’ambasciatore sabaudo. Il «conduere» di quest’ultima missiva, inoltre, nella lettera B diviene «conduere […] immediate». L’uso dell’avverbio «immediate» non è casuale, ma in strettissima relazione con l’affermazione secondo la quale «lo re de Franza vole»: «immediate», dunque, non solo connota la modalità del «conduere», ma anche rafforza il carattere perentorio con il quale si manifesta la volontà regia.
Anche fra la lettera C e Giorgi8-Av esiste una profonda diversità: sono degli avverbi a segnalarla (si veda la Riga 3). Nella lettera C, infatti, abbiamo «largamente» [12], in Giorgi8-Av, invece, «altramente» [13]. Il primo avverbio apre la strada a un approfondimento, il secondo  a una differenziazione.
Dopo avere letto nella lettera B che il re di Francia vuole che Ludovico Bolleri sia condotto immediatamente alla sua presenza, nella lettera C si precisa l’informazione affermando che lo vuole «ad ogni modo».
In Giorgi8-Av, invece, «altramente», ossia come se riferisse qualcosa il cui senso è diverso rispetto a quanto appena scritto, Corradino Giorgi scrive che «omnibus modis» il re di Francia «vole» che Ludovico Bolleri gli sia mandato.
L’ambasciatore milanese scrive «altramente» perché la «resposta» di Giorgi6-Av non equivale alla manifestazione della determinata volontà di Carlo VII ed è solo in Giorgi8-Av che per la prima volta il re di Francia risulta volere, non limitandosi a fornire una «resposta».

3.2.7. Dalla parafrasi al senso
A questo punto possiamo confrontare le due parafrasi precedentemente ottenute.

  Parafrasi 1 Parafrasi 2
Fase  1 Corradino Giorgi avvisa del ritorno di Umberto Valueto dalla Francia. Corradino Giorgi avvisa del ritorno di Umberto Valueto dalla Francia.
Fase 2 Corradino Giorgi riferisce che sono attesi ambasciatori di Carlo VII, che vengono per condurre Ludovico Bolleri dal re. È questa la risposta data da Carlo VII a Umberto Valueto, che il duca di Savoia ha rimandato in Francia, anche se l’inviato milanese non sa il perché. Corradino Giorgi riferisce che Carlo VII vuole che Ludovico Bolleri gli sia mandato e per questo motivo invia due ambasciatori che immediatamente lo conducano alla sua presenza.
Fase 3 Corradino Giorgi riferisce di avere compreso i fatti diversamente: Carlo VII, su petizione e richiesta di Renato d’Angiò, vuole che in tutti i modi gli sia mandato Ludovico Bolleri. Corradino Giorgi riferisce di avere compreso i fatti con più abbondanza di particolari: Carlo VII vuole che in ogni modo Ludovico di Savoia gli mandi Ludovico Bolleri e per questo motivo il duca ha rimandato dal re Umberto Valueto.

Nella Parafrasi 1 potremmo dire che il senso delle informazioni non è univoco. Carlo VII prima fornisce una risposta priva di toni aspri, poi, invece, assumendo un atteggiamento per l’ambasciatore in contrasto con il precedente, vuole in ogni modo che il signore di Centallo gli sia mandato dal duca di Savoia.
Il senso delle informazioni contenute nella Parafrasi 2, invece, è univoco e si potrebbe riassumere così: Carlo VII vuole che in ogni modo il duca sabaudo gli mandi Ludovico Bolleri e, per fare eseguire la sua volontà, invia degli ambasciatori in Savoia che immediatamente conducano a lui il signore di Centallo. È per questo motivo che Ludovico di Savoia ha fatto tornare Umberto Valueto dal re di Francia.
Nella Parafrasi 2 la volontà di Carlo VII si palesa nella Fase 2, diviene inequivocabile nella Fase 3 ed è in relazione a essa che Ludovico di Savoia rimanda presso il re di Francia Umberto Valueto.
Il nesso fra la perentoria volontà di Carlo VII e il ritorno di Umberto Valueto è dunque strettissimo.
Nella Parafrasi 1, invece, la volontà di Carlo VII compare solo nella Fase 3. Questo slittamento fa sì che, quando nella Fase 2 si riferisce che il duca ha rimandato in Francia Umberto Valueto, non si possa affermare che la sua decisione sia da porre in relazione con la volontà reale, perché a essa non si è ancora accennato.
Le due parafrasi, quindi, come le coppie di lettere B/C e Giorgi6-Av/Giorgi8-Av, non sono identificabili, perché producono due sensi diversi, originati da differenti informazioni acquisite da Corradino Giorgi.

3.2.8. Giorno più, giorno meno…
Riteniamo che anche un altro dato escluda Giorgi6-Av dalla Serie Giorgi-Sforza: esso è contenuto in GS15.
In quest’ultima missiva così scrive Corradino Giorgi: <<mai non have resposta de letre mandase ala signoria vostra da dì vintasei de zenaro fina a octo de marzo>>.
Vi è stato quindi un lungo periodo, iniziato il 26 gennaio e conclusosi l’8 marzo, nel corso del quale l’inviato sforzesco non ha ricevuto lettere ducali.
Il termine post quem di questo periodo è il 26 gennaio del 1458, il termine ante quem l’8 marzo.
Il termine ante quem coincide con la ricezione di due lettere del duca, ossia SG7 ed SG7-PS. In GS8, infatti, che è del 14 marzo, riferendosi proprio a SG7 ed SG7-PS, così scrive l’inviato sforzesco: «A dì octo del prescente ho ricevuto le littere dela signoria vostra».
Se Corradino Giorgi fa coincidere il termine ante quem con il giorno della ricezione di lettere di Francesco Sforza, non si vede per quale ragione non debba valere lo stesso criterio per il termine ante quem: il 26 gennaio del 1458 sarà quindi un giorno in cui l’ambasciatore milanese ha ricevuto missive ducali.
Tuttavia, se andiamo a rileggere Giorgi6-Av, vediamo che l’inviato sforzesco scrive: «a vintacinque dil prescente, per lo Boffa cavalaro ho recevuto le littere dela signoria vostra».
Poiché sappiamo che Giorgi6-Av non appartiene alla Serie Giorgi-Sforza, non si può considerare questa piccola imprecisione una dimenticanza, bensì essa è rivelatrice del fatto che, nel momento in cui GS6 compare nella serie escludendo Giorgi6-Av, cade la necessità di essere precisi rispetto al giorno in cui nella stessa Giorgi6-Av si segnalava la ricezione di missive del duca.
La suddetta imprecisione conferma che Giorgi6-Av non può appartenere alla Serie Giorgi-Sforza ed essa è quindi esclusa non solo da GS6, ma anche da GS15.
La discordanza sulle date verificata fra Giorgi6-Av e GS15 è dunque un indizio che di per sé dovrebbe indurre ad approfondire l’indagine, al fine di cercarne una spiegazione. Se si fosse partiti da essa, infatti, si sarebbe comunque giunti alla necessità di verificare i rapporti fra Giorgi6-Av e GS6.

3.2.9. Distribuire le informazioni
Abbiamo visto precedentemente come il tema della lettera C non consenta d’identificare la lettera C con Giorgi8-Av per diverse ragioni, non ultima il fatto che esso è troppo sommario, perché non riferisce che Carlo VII interviene «ad petitione et rechesta del re Renato» e quindi non viene riportata la seconda informazione contenuta in Giorgi8-Av.
In realtà, la suddetta informazione non scompare, bensì la ritroviamo spostata e inserita in un contesto diverso in Giorgi12-Av, missiva in cui Corradino Giorgi scrive che gli ambasciatori francesi hanno «rechesto domino Aluyse Bolero a questo sihnore che lo remeta in le mane del predicto re una cum lo castelo de XXXX Centalo e che la dona e li fioli sciano posti in soa libertate, he questo fa lo prenominato re de Franza XXX a instigacione e peticione del re Renato».
Nel momento in cui viene elaborata GS6, quest’ultima missiva sostituisce Giorgi6-Av e Giorgi8-Av. Il tema della lettera C comporta la scomparsa della seconda informazione di Giorgi8-Av, ma essa non va perduta, perché viene recuperata prima in Giorgi12-Av e poi in GS8, lettera successiva a Giorgi12-Av in cui l’inviato milanese scrive: «como per altre mie XX ha potuto intendere la signoria vostra questi ambaxadori del re de Franza […]hano rechesto a questo signore che domino Aloysio Bolero e Centallo sciano remissi in le mane del re de Franza e la dona e li fioli sciano posti in soa libertade e che questo fazea lo re de Franza ha instantia he instigatione del re Renato».
L’impressione che nelle missive sia attiva una strategia di distribuzione delle informazioni è inevitabile ed essa verrà peraltro confermata in un successivo paragrafo intitolato «Le fasi di elaborazione delle lettere», nel quale si potrà constatare lo spostamento di numerosi motivi dalle Lettere Avantesto Giorgi alla Serie Giorgi-Sforza.

3.2.10. Un decifratore intraprendente
Passiamo ora a esaminare una caratteristica che accomuna Giorgi7-Av e Giorgi8-Av.
Prima di tutto occorre precisare che il testo di Giorgi7-Av è sostanzialmente identico a quello di Giorgi6-Av, sicché si può ritenere che essa, come Giorgi8-Av, non appartenga alla Serie Giorgi-Sforza.
Quello che tuttavia risulta particolarmente interessante di queste due missive sono i caratteri estrinseci.
Considerato il testo di Giorgi7-Av, si potrebbe supporre che questa lettera e con essa Giorgi8-Av siano le minute da cui l’inviato sforzesco ha poi tratto le sue lettere, ma questa ipotesi non pare sostenibile, perché la grafia dei due documenti non è di Corradino Giorgi, bensì del decifratore delle lettere cifrate dell’inviato milanese.
Bisognerebbe inoltre supporre che sia stato l’ambasciatore milanese a consegnare in cancelleria, insieme al resto delle lettere avantesto, le due minute, ma anche questa ipotesi, come vedremo in un successivo sottoparagrafo, non è facilmente sostenibile, perché si tratterebbe di un atto di vero e proprio autolesionismo da parte di Corradino Giorgi.
Si potrebbe allora supporre che Giorgi7-Av e Giorgi8-Av siano due decifrazioni: la prima di Giorgi6-Av, la seconda di una lettera in cifra andata perduta. Tuttavia Giorgi7-Av e Giorgi8-Av non possono essere due decifrazioni. Le 17 decifrazioni delle lettere dell’inviato sforzesco recano tutte in alto l’indicazione «Ex zifra Conradini de Georgiis» e nessuna di esse è firmata. Giorgi7-Av e Giorgi8-Av, invece, sono prive dell’indicazione «Ex zifra Conradini de Georgiis» e in basso presentano la firma «Conradinus de Georgiis», di mano del decifratore.
D’altra parte, se si considerassero Giorgi7-Av e Giorgi8-Av delle decifrazioni, esse sarebbero anomale non solo rispetto alle altre decifrazioni delle lettere dell’ambasciatore sforzesco, ma anche rispetto all’intero corpus di decifrazioni presenti presso l’Archivio di Stato di Milano. Leggendo Senatore, infatti, non si dà il caso di decifrazioni al termine delle quali il decifratore ponga il nome del mittente [14].
Considerata dunque l’assenza dell’indicazione «Ex zifra Conradini de Georgiis», considerata l’assenza di un qualsiasi segno di richiamo che rimandi a un originale in cifra, considerata invece l’insolita presenza della firma «Conradinus de Georgiis», non pare affatto semplice sostenere che questi documenti siano due decifrazioni.
Sembra più verosimile ipotizzare che si tratti di due minute realizzate dal decifratore. Prima è stata redatta Giorgi7-Av, da cui è stata tratta la lettera in cifra Giorgi6-Av, e poi Giorgi8-Av, da cui doveva essere tratta un’altra lettera, forse in cifra, forse no. Al proposito viene da domandarsi se la missiva assente manchi perché andata perduta o più semplicemente perché mai redatta.

3.2.11. Un duca smemorato?
(Parte prima: l’ambasciata di Andrea Maletti al duca di Milano)
Prendiamo ora in esame Giorgi2-Av e Giorgi3-Av.
In GS6, come ormai sappiamo, si legge che «misir Uberto Valueto […] era tornato, como per altr mie ho scripto». Ci si riferisce dunque all’ipotizzata lettera A: «Sapia vostra signoria che domino Umberto Valueto hè retornato de Franza, dove era mandato per ly facti de domino Aloyse Bolero».
Il fatto che, come abbiamo visto, non sia possibile identificare la lettera B e la lettera C con Giorgi6-Av e Giorgi8-Av obbliga a guardare con estrema attenzione ai rapporti fra la lettera A, anch’essa segnalata in GS6, e l’eventuale lettera a essa avvicinabile. Ma questa attenzione è resa ancora più necessaria se consideriamo che non abbiamo una sola lettera A, bensì due, Giorgi2-Av e Giorgi3-Av, e che mentre la prima è in chiaro, la seconda è in cifra, nonostante esse siano molto simili fra loro.
Per dimostrare che Giorgi2-Av e Giorgi3-Av non possono far parte della Serie Giorgi-Sforza, occorre prima di tutto prendere in esame SG4 ed SG4-All, rispettivamente dell’11 e 10 gennaio.
In queste minute, in cui si simula la ricezione di GS2, il duca di Milano risulta inviare a Corradino Giorgi una polvere in grado di far addormentare i guardiani che controllano Ludovico Bolleri, dal quale è stata espressamente richiesta.
Le minute non recano alcuna indicazione riguardo alla cifratura delle lettere, a differenza di altre minute della Serie Giorgi-Sforza, come per esempio SG7-PS, all’inizio della quale è scritto: «Ponatur omnino in ciffra, etiam si littere priores scriberentur absque ciffra», oppure SG14, che reca in alto a destra l’indicazione «Per zifra».
Se tuttavia prendiamo in esame Giorgi2-Av e Giorgi3-Av, del 21 e 23 gennaio, si può constatare come in esse venga riferita la ricezione di lettere ducali in cifra. Così infatti è scritto in Giorgi2-Av: «zonse uno altro cavalaro, per lo quale ho recevuto le lettere de vostra signoria in zifra cum tute quele altre cosse». E queste sono le parole di Giorgi3-Av: «Ho receuto le letre de vostra signoria in zifra cum tute quele altre cose ha me mandato la signoria vostra».
SG4 ed SG4-All, minute da cui vengono tratte lettere non in cifra, escludono dunque Giorgi2-Av e Giorgi3-Av dalla Serie Giorgi-Sforza, perché in queste ultime missive si segnala la ricezione di lettere del duca in cifra.
Si potrebbe tuttavia obiettare che, a dispetto delle apparenze, SG4 ed SG4-All siano state messe in cifra e ci si sia solo scordati d’indicare sulle minute di cifrarle. Si tratterebbe dunque di una dimenticanza.
L’obiezione non pare irragionevole, perché in effetti è strano che SG4 ed SG4-All non siano state cifrate. Insieme a SG4, infatti, il duca manda «la polvere da fare dormire» le guardie che sorvegliano Ludovico Bolleri e in SG4-All si spiega come utilizzare la medesima polvere. Almeno in apparenza, esigenze di segretezza facilmente intuibili richiederebbero di mettere in cifra le suddette missive ducali.
In realtà, per capire gli aspetti estrinseci dei documenti qui in esame, riteniamo sia necessario cercare di comprendere all’interno di quale dinamica degli eventi essi si collochino o, meglio, all’interno di quale dinamica degli eventi si vuole simulare che essi si collochino.
Ecco quindi quanto riteniamo si voglia far credere sia avvenuto fra il dicembre del 1457 e il febbraio del 1458.
Nel dicembre del 1457 Francesco Sforza riceve Andrea Maletti, ambasciatore sabaudo.
Il 16 dicembre Corradino Giorgi invia GS2. In essa leggiamo che Ludovico Bolleri «dice vorea che la signoria vostra gli facese havere qualche pulvXXere che facese dormire per quatro ho se hore, per potre fare dormire queli lo guardano, per modo non sentan strepito alchuno». L’inviato milanese, però, non comprende per quale motivo il signore di Centallo gli faccia una simile richiesta e conclude GS2 in questo modo: «gli ho dato speranza dela polvere, rechedendome advisa perché la vole».
Il 23 dicembre Corradino Giorgi invia GS3. Riferendosi a quanto già riportato in GS2, scrive: «Per lettere de domino Aloyse sonto advisato he pregato advisa vostra signoria, le quale non mando, perché queste mando ala ventura, et primo che ad ogni modo faza vostra signoria l’abia de una pulvere che faza dormire per spatio de zinque ho sey hore, per fare dormire questi che guardano, como ho per altre mie scripto a vostra signoria».
Poi l’ambasciatore sforzesco aggiunge: «Et fa perché vorebe fugire, perché dice havere lo modo qui più che in alchuno altro locho». Corradino Giorgi ha finalmente compreso per quale motivo Ludovico Bolleri richieda la polvere per far addormentare quelli che lo sorvegliano.
Ma le richieste di Ludovico Bolleri per l’organizzazione del suo piano di fuga non finiscono qui. Così prosegue infatti GS3: il signore di Centallo «vorea piglare una de doe vie, confortandolo la vostra signoria lo faza: l’una vorea andare a capitare a uno locho che sce chiama Saselo, qual hè lonze de qui doe lege, è supra il Rodeno he ly vorea havere una bona fusta con sey navaroli galiardi, scorti de l’aqua he scecuri, forniti de reme, de victualia et de ogni altra cossa necessaria per doy dy, he vorea venire suxa per Rodeno et non dice unde, né più ultra, l’atra via hè andare a Buseria, ch’è in del Dalfinato, hed è lonze de qui octo lege e bisogna capitare prima a Zambalero, dove sono lege zinque de qui, he a questa Buseria vorea havere una fusta, como ho sopra dicto, per inscire per aqua, però dubita che queli del Dalfinato non lo reteneseno, he non dice né unde vogle capitare, né che, né como, como di sopra».
Il signore di Centallo chiede dunque al duca di Milano se può mettergli a disposizione una barca.
Riteniamo poi sia da sottolineare come la precisazione che Ludovico Bolleri «dubita che queli del Dalfinato non lo reteneseno» potrebbe non essere affatto casuale. Quello che si potrebbe voler sottindere, infatti, è che, se Ludovico Bolleri non si fida di quelli del Delfinato, allora non può aver fatto da tramite fra il delfino Luigi e Francesco Sforza: non sussiste quindi la ragione per la quale è stato fatto catturare da Carlo VII.
Ma ritorniamo a GS3, perché il signore di Centallo «dice, sce a vostra signoria non pare de potere provedere a questo, che ve piaza darne adviso improventia».
Anche le suddette parole potrebbero non essere casuali: con esse si potrebbe voler suggerire che Ludovico Bolleri non si fida di quelli del Delfinato, bensì dei provenzali, che è come dire di Renato d’Angiò, che quindi non può avere tradito: non vi è alcuna ragione per la quale Renato d’Angiò debba quindi dubitare del signore di Centallo.
In ogni caso, anche se Ludovico Bolleri vorrebbe «che ve piaza darne adviso improventia», «non dice a chi». E occorre «che scia presto, però che, passate le feste, questo signore sce partirà de qui he non haverea poy cusì il modo [15] como ho sopra dicto»: «sopra», infatti, Corradino Giorgi aveva scritto che il signore di Centallo gli aveva detto di «havere lo modo [16] qui più che in alchuno altro locho».
È necessario dunque agire con la massima rapidità e per questo motivo GS3 non viene messa in cifra da Corradino Giorgi: farlo richiederebbe un’eccessiva perdita di tempo. Come scrive Francesco Senatore, infatti, «l’ambasciatore, generalmente privo di cancellieri cifratori, era […] costretto a passare un’enorme quantità del proprio tempo nelle operazioni noiosissime di cifratura, con uno svantaggioso allungamento del proprio tempo di spedizione» [17].
Ricevuta GS2, il duca di Milano intuisce immediatamente per quale motivo Ludovico Bolleri abbia richiesto la polvere. Alla fine di SG4, infatti, Francesco Sforza raccomanda al suo inviato di avere «advertenza de farla dare [18] con tale modo et discretione ch’el segua l’effecto de quello che se cerca»: «quello che se cerca», e che come abbiamo visto in GS2 non era chiaro a Corradino Giorgi, è la fuga.
In SG4-All, infatti, dopo il titolo «Lo modo da dare la polvere da far dormire le guardie etc.» leggiamo (le sottolineature sono nostre): «Primo. Le prese sono X per persone X, tutte seperate et tanto l’una quanto l’altra.
Item le dicte prese farano dormire circa VIII o X hore et, se ben costoro non dormissero, sarano fora de sentimento et tali che parerano como matti et debili et parerano che vogliano morire. Niente de mancho non morirano et farano acti et cose molto paze et se ben exequendo la cosa che se ha a fare loro vedesseno quello se facesse, non se ha a temere questo, ma andare dreto et fugire, però che serano talmente fora di sé et debili, che non porano né conoscere né dire né obviare ad quello se farà, et anchora, se ben gli accadesse dire alcuna cosa che fosse a proposito, manche per questo se debia stare de andare dreto et fugire, perché serano fora di sé et pazi, como è dicto, avisando che, quando serano guariti, de tale caso non se recordarano de cosa sia facta».
Più oltre SG4-All prosegue così: «Questa polvere starà ad comenzare de fare operatione da una hora fino a doe et tre et quanto più serano in loco caldo over haverano caldo, tanto più presto commenzarà ad fare operatione.
La prima cosa che operarà se gli farà dolere la testa, poy comenzarano ad dormenzarse et, se pur gli serà che non dormerà, farà acti et pazie, como è dicto de sopra, et per questo non se staga de fugire.
Ma se vole providere sopra tutto che lo amico non se movi ad fare niente, né a fugire, fin passato le tre hore dapoy che li guardiani haverano ricevuta la polvere et finché non li vederà o dormire o intrare in pazie, in modo ch’el veda de potere fare el facto suo».
Compreso dunque che Ludovico Bolleri vuole cercare di fuggire e che occorre operare con la massima rapidità, il duca di Milano acconsente a inviare la polvere e, per essere sicuro della sua efficacia, ne fa «fare experientia».
A questo punto, il 10 gennaio 1458 viene redatta la minuta SG4-All, di ben quattro pagine, «lecta et data ad intendere de verbo ad verbum al nostro illustrissimo signore in la camera sua del cane, presente el magnifico Cicho, magistro Stefano dali Denti et Zohan Biancho».
Il tempo stringe e l’urgenza del momento rende impossibile mettere in cifra la missiva che si vuole trarre da SG4-All: come ricorda Francesco Senatore, «per la cifratura di una lettera piuttosto lunga (p. e. 4 fogli) c’era davvero da lavorare anche per più giorni» [19], tanto più in questo caso, dato che si tratterebbe della prima lettera da inviare a Corradino Giorgi in cifra e quindi il cancelliere addetto all’operazione di cifratura non ha dimestichezza con la cifra.
L’11 gennaio viene redatta SG4: è breve, ma metterla in cifra per i riferimenti in essa contenuti alla polvere non ha senso, perché a essa viene allegata SG4-All, del giorno precedente, che si è già deciso di non mettere in cifra per via della sua lunghezza.
Il duca di Milano, tuttavia, è consapevole dei rischi che si corrono, tanto è vero che al suo inviato non raccomanda solo, come abbiamo visto, che la polvere venga data in modo tale «ch’el segua l’effecto de quello che se cerca», ma anche «ch’el non se faza scandalo».
Più tardi Francesco Sforza riceve GS3. La lettera, pur trattando un argomento delicato come l’organizzazione di un piano di fuga, è in chiaro. Il duca comprende immediatamente che il suo inviato ha dovuto agire con la massima urgenza, dettata dal fatto che «passate le feste, questo signore sce partirà de qui he non haverea poy cusì il modo como ho sopra dicto».
A GS3 il duca risponde così: «perché hora tu ne scrivi che misser Aluyse dice che, venendoli facto el modo ch’el cercha de fugire per la via de dicta polvere et confortandolo nuy ad questo, el voria pigliare una de doe vie, zoè andare a Sasello overo ad Busena nel Dalphinato per la via del fiume del Rodano mediante la provisione d’una barcha fornita d’homini et de victualie etc., dela quale barcha voria che nuy facessemo la provisione, dicemo: primum che non haveressemo el modo de providere de dicta barcha, ma che, potendo et havendo luy el modo de fugire et de salvarsi, nuy glilo confortiamo».
Ma la situazione, come abbiamo già accennato, non è immune da rischi. Il duca, infatti, non tralascia di raccomandare che «quando esso se vedesse havere el modo et deliberasse per la via de dicta polvere fugire, ne pare et così te dicemo, per evitare ogni scandalo che ne potesse seguire, che de cinque dì inanzi ch’el se venga al’atto de operare dicta polvere tu con qualche bono modo debii pigliare licentia da quello illustrissimo signore et ritornartene qua, facendo in modo che tu possi esser fuori del suo dominio inanzi el dì che se operava dicta polvere et venendo per la via de Ast, s’el te parerà per quella via più presto potere uscire del dicto suo dominio, ordinando con lo prefato misser Aluyse che tuti quelli che luy operarà et saperano de dicta polvere se ne fugano et vadano insieme con luy, adciò che per alcuno modo non venesse ad orechie del prefato illustrissimo signore che nuy l’havessimo facto fugire, però che ad nuy ne seguiria et carico et mancamento d’honore».
Ma il duca di Milano dalla lettura di GS3 ha anche intuito che la fuga di Ludovico Bolleri presenta numerose, troppe incognite. In GS3 si diceva infatti che il signore di Centallo (sottolineature nostre) «vorea piglare una de doe vie […]: l’una vorea andare a capitare a uno locho che sce chiama Saselo, qual […] è supra il Rodeno […] he vorea venire suxa per Rodeno et non dice unde, né più ultra, l’atra via hè andare a Buseria, ch’è in del Dalfinato […] he a questa Buseria vorea havere una fusta […] per inscire per aqua, però dubita che queli del Dalfinato non lo reteneseno, he non dice né unde vogle capitare, né che, né como como di sopra. Item dice, sce a vostra signoria non pare de potere provedere a questo, che ve piaza darne adviso improventia he non dice a chi».
È inevitabile quindi che il duca di Milano in SG5 si raccomandi che «non havendo luy el modo de potere fugire et de salvarsi como è dicto, ello non se debia movere ad fare cosa alcuna, adciò non gli intervenisse pegio», concetto più ampiamente ribadito alla fine della missiva: «vogli avisare esso misser Aluyse che prima vogli bene pensare et repensare sopra questa cosa et non se mettere ad farla se prima el non conosca veramente che gli possa reuscire el pensero, perché, principiando la cosa et non gli possendo reuscire el pensero, gli poria intervenire pezo, como è dicto, ma che, conoscendo che non gli possa reuscire el pensiero per questa via, el vogli più tosto havere patienti per un pezo, perché non mancheremo de sollicitare la liberatione sua per ogni altra via».
Anche in questo caso, come abbiamo visto, occorre agire con la massima rapidità e così la lettera che viene tratta dalla minuta SG5, che è di quasi due fogli, non viene messa in cifra: la fretta è tale che si preferisce correre il rischio d’inviarla in chiaro piuttosto che perdere tempo nell’operazione di cifratura.
Per simulare l’organizzazione di un piano di fuga, le lettere mediante le quali si vuol far credere che esso sia stato preparato vengono dunque lasciate in chiaro, in modo da simulare che esse siano state scritte in un momento in cui era necessario operare con la massima celerità. Questo semplice stratagemma viene utilizzato per far credere autentiche missive che autentiche non sono. L’assenza di una qualsiasi indicazione che segnali la volontà del duca di mettere in cifra le lettere si può quindi considerare un vero e proprio segno di simulata autencità.
È la necessità di simulare l’urgenza del momento che spiega come mai sulle minute SG4 ed SG4-All non venga indicato di mettere le missive in cifra: non vi era tempo per farlo. Esse, quindi, escludono dalla Serie Giorgi-Sforza Giorgi2-Av e Giorgi3-Av, perché in queste ultime lettere si segnala la ricezione di lettere ducali cifrate.
Il motivo per cui si simula l’organizzazione di una piano di fuga è da mettere in relazione con il reale significato dell’ambasciata di Andrea Maletti presso il duca di Milano.
A questo punto riteniamo utile introdurre il concetto di funzione.
Con il termine «funzione» in matematica si indica la «stretta dipendenza da una determinata grandezza (detta variabile indipendente) di un’altra grandezza (detta variabile dipendente), per cui a ogni variazione del valore della prima corrispondono uno o più valori determinati della seconda» [20].
Nel nostro caso la variabile indipendente è l’ambasciata di Andrea Maletti. Il suo valore può essere positivo (Ludovico di Savoia vuole liberare il signore di Centallo e le relazioni fra il duca sabaudo e Francesco Sforza sono amichevoli) o negativo (Ludovico di Savoia non vuole liberare il signore di Centallo e le relazioni fra il duca sabaudo e Francesco Sforza non sono amichevoli). A seconda del valore che si attribuisce all’ambasciata muta il valore della variabile dipendente, ossia la qualità della «storia» raccontata nelle lettere.
Se la variabile indipendente è negativa, come variabile dipendente si ha la «storia alla rovescia» («alla rovescia» rispetto a quanto realmente accaduto); se la variabile indipendente è positiva, come variabile dipendente si ha invece la «storia autentica».
Potremmo esporre la «storia alla rovescia» in questo modo.
Gli incontri con Andrea Maletti hanno avuto un esito negativo: il duca di Savoia non è affatto intenzionato a liberare Ludovico Bolleri e le relazioni politiche fra il duca di Savoia e il duca di Milano attraversano una fase di così grave crisi da indurre Francesco Sforza ad appoggiare il tentativo di fuga che Ludovico Bolleri sta cercando di organizzare.
È evidente, infatti, che se l’esito dei colloqui con Andrea Maletti fosse stato positivo, il duca di Milano non esporrebbe Ludovico Bolleri e il suo inviato, e indirettamente anche se stesso, agli rischi derivanti dall’organizzazione di un tentativo di fuga.
A questo punto, sempre restando sul piano di quello che nelle lettere si vuol far credere, immaginiamo che Francesco Sforza riceva GS6.
Il contenuto di questa massiva si presta a tre interpretazioni a seconda del tipo di relazione che si stabilisce fra Carlo VII, Renato d’Angiò e Ludovico di Savoia.
Prima interpretazione. In seguito all’intervento di Carlo VII, sollecitato da Renato d’Angiò, Ludovico di Savoia ha deciso di liberare Ludovico Bolleri.
Seconda interpretazione. Carlo VII e Renato d’Angiò sono alleati e vogliono che Ludovico di Savoia liberi Ludovico Bolleri, ma il duca sabaudo si oppone ai due sovrani e finge di voler liberare il signore di Centallo per guadagnare tempo con Renato d’Angiò e Francesco Sforza e intanto prendere le altre terre di Ludovico Bolleri, in modo da fare uno sgarbo al sovrano angioino, col quale è irritato per via delle sue minacce di guerra.
Terza interpretazione. Carlo VII, Renato d’Angiò e Ludovico di Savoia sono alleati nel non volere la liberazione di Ludovico Bolleri e nel volere prendere le altre terre del signore di Centallo, ma simulano di essere in disaccordo. I due sovrani, dunque, per non esporsi in prima persona, fingono di volere che il duca sabaudo debba liberare Ludovico Bolleri, mentre Ludovico di Savoia finge di voler liberare il signore di Centallo solo per guadagnare tempo con Francesco Sforza e intanto predere le altre terre di Ludovico Bolleri.
Possiamo notare come la seconda e terza interpretazione siano esposte in una lettera di Angelo Acciaioli al duca, del 19 aprile 1458 (si tratta di Firenze10).
Così scrive infatti Acciaioli, riferendosi alle manovre militari sabaude d’inizio aprile: «Questa mossa delle genti del duca di Savoia, sanza havere riguardo al re di Franza o al re Rinato o alla signoria vostra, mi fa pensare da che possa nascere tale ardire, perché di sua natura Savoia non è tanto ardito, ma bene credo che il re di Franza, per offendere et disfare quegli amici del dalphino, conforti il duca di Savoia a quella guerra segretamente, non stante che habia mandato e sua ambasciadori con altra comissione, ho veramente il duca de Savoia s’è mosso per la disfida che gli mandò tre mesi fa il re Rinato».
Il dubbio di Acciaioli, che si chiede «da che possa nascere tale ardire, perché di sua natura Savoia non è tanto ardito», consente di avanzare una quarta interpretazione.
Quarta interpretazione. Carlo VII e Renato d’Angiò sono alleati e vogliono che Ludovico di Savoia liberi Ludovico Bolleri, ma il duca sabaudo, sostenuto Jean de Dunois, bastardo d’Orlenz, si oppone ai due sovrani e finge di voler liberare il signore di Centallo per guadagnare tempo e intanto prendere le altre terre di Ludovico Bolleri, perché questi ha tramato per consegnare Asti a Francesco Sforza.
Come è evidente, la seconda, terza e quarta interpretazione sono accomunate da un fattore: il duca di Savoia finge per guadagnare tempo e intanto prendere le altre terre di Ludovico Bolleri.
Considerando GS6 in relazione alla seconda, terza e quarta interpretazione, possiamo dunque momentaneamente appuntare la nostra attenzione solo su quest’ultimo fattore, prescindendo dal contesto generale, che tuttavia prendere in esamo quando affronteremo in modo compiuto il discorso relativo a quello che le missive della Serie Giorgi-Sforza vogliono far credere sia avvenuto.
Torniamo quindi a immaginare che Francesco Sforza riceva GS6.
L’interpretazione del contenuto della lettera al momento della sua ricezione, verso il 20 febbraio del 1458, coinciderà con la prima interpretazione su esposta e sarà diversa da quella che il duca darà all’inizio del maggio successivo, dopo che il duca ha preso la terra e il castello di Demonte di Ludovico Bolleri e la rocca di Vernante di Onorato conte di Tenda.
Al momento di ricevere GS6, infatti, il duca di Milano sarà portato a ritenere verosimile che in seguito all’intervento di Carlo VII Ludovico di Savoia abbia deciso di liberare il signore di Centallo.
All’inizio di GS6, infatti, come ormai sappiamo, si legge: «Questi dì passati scrise la signoria vostra como lo re de Franza volia che domino Aloyse Bolero gli fose mandato et che per questo mandava ambaxadori da questo signore li quali gli lo devevano conduere poi inmediate. Per altre mie scrise como intendeva più largamente, zoè lo prelibato re volere ad ogni modo questo signore gli mandase lo predicto domino Aloysio Bolero».
Inoltre, riguardo al re di Francia vi è un’altra informazione, anche se l’inviato milanese precisa che «Sce cusì serà vero, non lo posso bene intendere, del certo dicitur publice».
Corradino Giorgi scrive infatti che <<lo predicto re de Franza, scecumdo che XXXXXX publice dicitur, et maxime da Pedemontani quali sce retrovano esser qui ex nunc, per quanto a quelle cose aspectano a lui ha liberato domino Aloysio Bolero e simil vole faza questo signore et ulterius vole gli scia restituito lo castello e darli tranta milia ducati per questo signore pro dannis et interese».
L’ambasciatore sforzesco riferisce poi di avere inteso «da uno misir Antonio de Iudicibus è in secreto molto amico de domino Aloysio Bolero et hè del Conscilio de questo signore» che «questo signore, per non volere avere casone de mandare el predicto domino Aloysio Bolero dal prenominato re de Franza, havere deliberato, quam primum sciano venuti dicti ambaxadori, de farlo liberare e remeterlo in soa libertà […]Poi, se dicto domino Aloysio Bolero vorà andare dal prelibato re, poterà, sin autem, farà como gli parerà».
Come si diceva prima, al momento di ricevere GS6 Francesco Sforza riterrà più che verosimile che l’intervento di Carlo VII abbia indotto il duca di Savoia a più miti consigli rispetto alla liberazione di Ludovico Bolleri.
E infatti, rispondendo in SG7 a Corradino Giorgi, il duca scrive: «Restiamo novamente per le toe de dì XIII del presente ciffrate advisati de quanto intendi essere deliberato per la maiestà del re de Franza circa la liberatione del spectabile messer Aluyse Bollero et etiam dela dispositione de quello illustrissimo signore duca intorno ad questo, et […] ad nuy seria gratissimo che lo effecto succedesse secondo tu scrivi».
Lo stesso signore di Centallo deve essersi convinto che il momento della sua liberazione è vicino.
Verso la conclusione di GS6, infatti, leggiamo che Corradino Giorgi ha «facto intendere anchora como passano he in quali termini sono» «li facti soi» a Ludovico Bolleri, il quale «hè rimasto contento he alegro he non se cura più de fugire».
Questo stato d’animo del signore di Centallo si può spiegare solo supponendo che Ludovico Bolleri, e con lui Corradino Giorgi, ritenga prossima la sua liberazione e che in seguito all’intervento di Carlo VII Ludovico di Savoia abbia deciso di liberarlo.
Tuttavia, nel maggio del 1458 la prima interpretazione del contenuto di GS6 non può essere più valida. Francesco Sforza non può che essersi convinto che esso andava interpretato in modo differente. Ecco come.
Tornato Andrea Maletti dal suo duca, per nulla intenzionato a liberare Ludovico Bolleri, scatta il piano sabaudo. Esso consiste nel tentativo d’ingannare Francesco Sforza e il suo inviato presso Ludovico di Savoia dicendo (citiamo da SG20-PS) «bone parolle», in realtà «ficte et simulate», «de volere liberare domino Aluyse» e avanzando al duca di Milano proposte di lega, in modo da «menare la cosa in longo et interim exequire li soi [21] designi». Quali siano questi «designi» lo leggiamo in GS2: «tore le altre soe [22] terre hovero al conte de Tenda».
A questo punto Corradino Giorgi, come riferito in GS6, parla con «misir Antonio de Iudicibus», «in secreto molto amico de domino Aloysio Bolero» e«del Conscilio de questo signore», il quale gli si fa sapere che Ludovico di Savoia, «per non volere avere casone de mandare el predicto domino Aloysio Bolero dal prenominato re de Franza», ha «deliberato […] de farlo liberare e remeterlo in soa libertà».
Per indurre Francesco Sforza a credere che Ludovico di Savoia, anche se non vuole, è costretto a liberare Ludovico Bolleri, vengono diffuse ad arte voci secondo le quali«lo predicto re de Franza, scecumdo che XXXXXX publice dicitur, et maxime da Pedemontani quali sce retrovano esser qui ex nunc, per quanto a quelle cose aspectano a lui ha liberato domino Aloysio Bolero e simil vole faza questo signore et ulterius vole gli scia restituito lo castello e darli tranta milia ducati per questo signore pro dannis et interese. Sce cusì serà vero, non lo posso bene intendere, del certo dicitur publice, como ho sopradicto».
Prediamo ora in esame la «storia autentica», anche se occorre partire da un momento precedente l’arrivo di Andrea Maletti a Milano.
Come risulta da M34-292v, nella seconda metà di luglio del 1457 il piemontese Francesco Tomatis manda presso Francesco Sforza Giacomo Beretta, mercante milanese. Quest’ultimo deve parlare con il duca di Milano e consegnargli un’«instructionem».
Il 28 luglio 1457, data di M34-292v,  Francesco Sforza scrive a Francesco Tomatis di avere ricevuto Giacomo Beretta e che «ipsi Iacobo nonnulla vobis referenda nostri parte commisimus».
Riguardo a Francesco Tomatis giova anticipare subito che in GS8, del 14 marzo 1458, Corradino Giorgi scrive: «sonto advisato che fra pochi dì questo signore me farà atastare sc’el XX me bastarea l’animo de pratichare liga fra la signoria vostra et soa […]. E questo hè opera de misir Francescho de Tomatis».
A questo punto si giunge all’ambasciata di Andrea Maletti nel dicembre del 1457.
Il 26 dicembre dello stesso anno Giacomo Beretta invia a Francesco Sforza una lettera: si tratta di Beretta1, di cui il duca segnala la ricezione in M34-355r.
Scrive il mercante milanese: «Dal’amico ho avuto opusculum el qualle per fante propio ve lo mando talle qualle è. Bene credo piacerà ala signoria vostra, perché credo sarà bono e utille». E aggiunge: «Com’ho deto, mando questo opusculum per fante propio, el qualle ho adrizato a ser Gullielmo, perché io non posso al presente venire».
In Beretta2, sempre del 26 dicembre del 1457, ma diretta a Giovanni Simonetta, leggiamo: «Io ho avuto la coxa del’amico, la qualle, per non potere io venire per lo impagio m’è dato qua contra tute ragione, com da ser Gullielmus doveti essere informato, io mando dita coxa per uno fante propio a ser Gillielmus, la qualle la presenta insema cum voi al segnore, che vi so dire coxa li piacerà».
Riassumendo: un «amico» ha dato a Giovanni Beretta un «opusculum» da portare al duca di Milano. Tuttavia, «per lo impagio m’è dato qua contra tute ragione», il mercante milanese non può muoversi da Ginevra. Manda dunque l’«opusculum» «per uno fante propio» a Guglielmo da Marliano, suo zio, perché lo presenti a Francesco Sforza.
Chi è l’«amico» di cui Giacomo Beretta avrebbe dovuto portare a Milano un «opusculum»?
Ci pare più che verosimile ritenere si tratti di Francesco Tomatis, del quale, come abbiamo visto, nel luglio precedente il mercante milanese aveva già portato a Francesco Sforza un’«instructionem».
Riguardo all’«opusculum» così prosegue Beretta1: «El dito amico bene vi supplca volia avixare la signoria vostra a luy ho mie, se la cossa vi piace ho non, che sicondo lo avixio arà dala signoria vostra dice provedarà anchora più oltra ad altre cosse sarano utille e honeste ala signoria vostra, il perché, el più presto potereti, fareti dare avixio de quello piacerà ala signoria vostra».
Mentre in Beretta 2 leggiamo: «vi prego, per parte del’amico, se la coxa p[i]ace al segnore, ne voliati avixare, che el dito amico farà anche d[e] altre coxe, sicundo m’à dito, che saranno utille e de onore al prefato n[ostro] segnore, perché mi gravò de dare avixio de tuto».
Ma non vi è solo un «opusculum». Al duca Giacomo Beretta scrive anche che «con questa aveti una lettera che luy vi scrive sopra el fato de Genova, per la qualle, se piacerà ala signoria vostra, fareti dare risposa sopra a tuto et io lodo che ad ognia modo la faziati s[cr]ivere, perché vedo li va de bona fede ed è homo che à condute de grande [co]xe e secretamente e, per la opera vi manda, vedarà bene la signoria vostra se è persona de intendimento ho non e da bona fede a volere servire la signoria vostra».
Anche se, ovviamente, è azzardato avanzare ipotesi riguardo al contenuto dell’«opusculum», si può ritenere più che verosimile che il suo estensore, Francesco Tomatis, abbia svolto un ruolo di primo piano nella stipulazione della lega tra Francesco Sforza e Ludovico di Savoia.
Questa ipotesi viene confermata dalla «storia alla rovescia» contenuta nella Serie Giorgi-Sforza. Tuttavia, prima di prenderla in esame, riteniamo opportuno esporre in una tabella gli avvenimenti cui abbiamo accennato.

Documento Periodo Avvenimento
M34-292v Seconda metà di luglio del 1457 Francesco Tomatis consegna a Giacomo Beretta un’«instructionem» da portare a Francesco Sforza.
M34-292v 28 luglio 1457 Francesco Sforza ha ricevuto Giacomo Beretta.
  Dicembre 1457 Ambasciata di Andrea Maletti a Milano
Beretta1 Dicembre 1457 Francesco Tomatis consegna a Giacomo Beretta un’«opusculum» da portare a Francesco Sforza. Beretta manda l’«opusculum» a suo zio Guglielmo da Marliano perché lo porti al duca di Milano.

Nella «storia alla rovescia», come abbiamo accennato, il duca di Savoia cerca d’ingannare Francesco Sforza e Corradino Giorgi non solo promettendo la liberazione di Ludovico Bolleri, ma anche avanzando al duca di Milano proposte di alleanza.
Per rendere più credibili queste proposte, il duca sabaudo utilizza Francesco Tomatis, uomo che sinceramente vuole l’alleanza fra i due duchi, come un’esca di cui si disfa nel momento in cui non gli serve più.
Potremmo riassumere quello che nelle missive si vuole fingere riguardo alla personale vicenda di Francesco Tomatis come segue.
Ludovico di Savoia fa credere a Francesco Tomatis, definito in GS8, del 14 marzo 1458, «amico fidele dela signoria vostra», di volersi alleare con il duca di Milano.
Poi, sempre in GS8, Corradino Giorgi scrive: «sonto advisato che fra pochi dì questo signore me farà atastare sc’el XX me bastarea l’animo de pratichare liga fra la signoria vostra et soa […]. E questo hè opera de misir Francescho de Tomatis».
Evidentemente, se «questo hè opera de misir Francescho de Tomatis», «amico fidele dela signoria vostra», è possibile che la «liga» possa costituire una seria prospettiva politica per il duca di Milano.
In GS9 Corradino Giorgi scrive che Claudio de Langin, «notabile zentilomo de questo paise», gli ha detto di «havere casone de conferire cum la signoria vostra per par de una bona parte deli zentilomini he baroni de questo paise de Sabaudia e de dire cose ala signoria vostra le quale ve piazeranon». Per questo motivo richiede al duca di Milano «una littera de familiaritate» e prega Corradino Giorgi«pregasse la signoria vostra che, volendo concedere dicte littere, facesse presto e che le havese de qua da Pasqua, però che la memoria havea a confrire con la signoria vostra era de tale natura ch’era bisogno de celere e breve expeditione».
Della «liga» parla poi esplicitamente a Corradino Giorgi Jean de Compey in GS10, affermando che se il duca di Milano volesse «che se intendesemo cum sua signoria, lo faremo fare liga et bona inteligencia cum questo nostro signore».
Ma le proposte di lega sabaude, come abbiamo detto, sono solo un pretesto per guadagnare tempo e Ludovico di Savoia non attende il 2 aprile, giorno in cui cade la Pasqua del 1458, per verificare se Francesco Sforza invii a Claudio de Langin la «littera de familiaritate».
Già prima, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, intraprende nuove iniziative militari contro le terre di Ludovico Bolleri e Onorato conte di Tenda, conquistando la terra di Demonte del primo e la rocca di Vernante del secondo (operazioni che riteniamo realmente avvenute e preventivamente concordate fra i due duchi in modo da simulare un conflitto fra loro).
In Ardizzi5, infatti, del 3 aprile, Abramo Ardizzi scrive: «Heri per Biaxmo Biancho significay ala excellentia vostra quello era accaduto et facto contra le terre de domino Loyse Bollero».
Quindi aggiunge: «In questa hora è zonto qui uno mandato per domino Constantio de Valgrana«. »El messo dice ch’el campo non era anchora fermato contra la rocha nì Demonte, ma che eranno et sonno tutte le gente, a numero Vm, logiate tra la Rocha et Demonte et hanno prese tutte le villete che sonno tra l’uno et l’altro deli dicti luoghi et che, venere passato, menareno due bombarde, le quale sonno conducte ad uno luogho chiamato Gagliola et Mogliola. Dice, insuper, che hanno tolto tutto’l bestiame dela valle et robba et l’hanno mandate ad Cunio».
E in Ardizzi7, del 6 aprile 1458,  lo stesso Ardizzi scrive: «In quest’hora è zonto qui uno chiamato Crispino, il quale […] dice che […] quelli del duca de Savoya hanno presa la terra de Demonte a pacti et che la dicta terra cum la vale pagha XVIm solidi; robba et bestiame hanno menato; non hanno facto presoni; hanno etiam presa una rocha del conte de Tenda chiamata Vernante. Le bombarde sonno anchora a Rachonixo. Hanno cum loro solummodo alcune bombardelle sopra carrioli».
Mano a mano che viene alla luce l’inganno sabaudo, Francesco Tomatis non serve più da esca e la sua condizione presso la corte sabauda inevitabilmente peggiora.
In GS16, infatti, del 18 aprile, leggiamo: «Lo introccluso scripto hè de domino Francescho de Tomatis, lo quale sce recomanda a vostra signoria per mile volte. E lo povero vegio n’à grande bisogno, però ch’è maltratato e in grande necesciatà. Sci che vostra signoria intenderà quanto el scrive, avisando ch’è cano de vostra signoria he d’è homo da fare bono concepto». Ma Francesco Tomatis, il «suprascripto amico», non riesce a finire lo «scripto» «he per aspectarlo non ho voluto tarder lo messo, ma prega vostra signoria gly scia recomandato, che l’è a grande strecta etc.».
Si noti, fra l’altro, che quanto appena riportato non è in cifra, ma in chiaro: si vuole dunque fingere che la posizione di Francesco Tomatis sia decaduta al punto che, scrivendo GS16, Corradino Giorgi non ha avvertito la necessità di mettere in cifra la parte che lo riguarda.
Riteniamo, dunque, che nelle missive si voglia far credere quanto segue: è vero che Francesco Tomatis è stato utilizzato da Ludovico di Savoia per avanzare proposte di lega al duca di Milano, ma solo per rendere credibili proposte che in realtà erano false.
Ma ora dobbiamo tornare a prendere in esame un aspetto davvero molto importante delle lettere di Giacomo Beretta da cui siamo partiti per compiere la digressione su Francesco Tomatis.
Infatti, predendo come pretesto una causa che oppone Giacomo Beretta a Jean de Compey, già nel gennaio del 1458 iniziano gli incontri fra quest’ultimo e Corradino Giorgi.
In Beretta1 a proposito dell’«opusculum» leggiamo: «se più tosto non s’è mandato, la cagione è stata la infermittade del’amico e anche alcuno impedimento a me qui dato contra ognia ragione, com da ser Gullielmo, mio magistro e barba, sareti informato, ed è bene de necessitade la signoria vostra li meta la manno a non patire che uno tanto grandissimo torto e forza me sia fatto e de questo humilemente supplico la signoria vostra li proveda in el modo dal deto ser Gullielmo sareti informato».
L’«impedimento» cui si riferisce il mercante milanese non deve essere da poco, considerato che verso la fine di Beretta1 si legge: «mando questo opusculum per fante propio, el qualle ho adrizato a ser Gullielmo, perché io non posso al presente venire», concetto ribadito al’inizio di Beretta2: «Io ho avuto la coxa del’amico, la qualle, per non potere io venire per lo impagio m’è dato qua contra tute ragione […] io mando dita coxa per uno fante propio a ser Gillielmus».
Giacomo Beretta prega Giovanni Simonetta che «la provisione sia de bisogno, che el segnore faza per me che per me voliati operare sia fato in el modo che ser Gullielmo vi informarà».
A questo punto, poiché, come risulta da M34-354r-v, del 16 gennaio 1458, Francesco Sforza ha inteso che «latam esse sententiam contra Iacobum Beretam, incolam civitatis Gebennarum, in favorem spectabilis militis domini Iohannis de Campesio in causa quadam inter eos tunc vertente», il duca avvisa Corradino Giorgi (si veda M34-354v, sempre del 16 gennaio 1458) di avere scritto «ad quello illustre signore .. duca de Savoya quello intenderay per la introclusa copia in favore de Iacomo Bereta […]. Pertanto te commettiamo et volemo che tu debii presentare la dicta lettera et fare ogni instancia et opera perché la causa dela quale se fa mentione in essa lettera de novo sia cognosciuta, non mancandoli dal canto tuo in tutto quello te serà possibile, perché ne faray cosa gratissima, considerato che honestà et iusticia rechiedeno che così se facia».
Iniziano così gli incontri fra Jean de Compey e Corradino Giorgi, confermati da M34-371v, del 21 febbraio, in cui Francesco Sforza scrive al suo inviato: «Havemo inteso che tu hay in le mane la differentia quale vertisse tra Iacomo Berreta, nepote de Gulielmino da Marliano, nostro citadino et mercadante, per una parte, et domino Zohanne de Compeso per l’altra, che n’è molto piaciuto, et quantunche siamo certi non te bisogna recomendare lo dicto Iacomo, perché l’è di nostri, nientedemeno, ad satisfactione del’animo nostro, te lo recomandio».
Possiamo immaginare che, incontrandosi per la prima volta con Corradino Giorgi, Jean de Compey abbia pronunciato proprio le parole riferite in GS10 (che però è del 17 marzo).
«Coradino. Non so se tu sapie li zentilomini, conti, baroni et cavaleri de questo stato de Savoia esser divisi doe parte, dele quale monsignor lo maneschalcho è capo de l’ina, la quale è tuta franzosa, senza alcuno mezo, et quela al presente guberna et rege questo stato al suo modo et como gli pare, como tu vedi […] et noi altri, quali al presente non semo de stato né de guberno he che cognosemo questo nostro signore esser cumdicto a tanta subiectione che non ardische fare se no como voleno, e noi, che amemo el nosro signore et lo suo utile he honore, voremo prendere modo et via de liberarlo de tanta subiectione, unde cognosemo questo non ne potere seguire senza lo favore et inteligencia de alcuno altro signor, et maxime del tuo signore, duca de Mediolano, el quale,  s’el volese che se intendesemo cum sua signoria, lo faremo fare liga et bona inteligencia cum questo nostro signore he in modo che lo dicto signor nostro se liberarea da tanta subiectione de questi franzosi, como soa signoria hè desiderosa, che sarebe grande utile del XX prenominato tuo signore, duca de Mediolano, et del stato suo he del nosro signore, he, non volendo dicto signore tuo havere la nostra inteligentia, ne sarà forza, per stare a casa nostra, haderirse cum la parte nostra inimicha».
Gli incontri fra Corradino Giorgi e Jean de Compey devono avere un esito estremente positivo e Francesco Sforza affida a Corradino Giorgi il compito di realizzare un’ambasciata, che l’inviato milanese esegue fra l’8 e il 14 marzo (si veda GS8), con la quale assicura al duca sabaudo il suo appoggio.
A questo punto, Ludovico di Savoia nomina un nuovo cancelliere (in GS11, del 19 marzo, Corradino Giorgi riferisce che «questo signor hè in tractato de fare uno canzelero, lo qual, scecundo sce dice, sarà domino Antonio da Romagnano, prescidente del Consciglio de Taurino […] lo quale debe zonzere qua a XXI del prescete») e la parte antifrancese del Consiglio sabaudo prende il sopravvento su quella filofrancese (si veda GS12, dove si dice che «la parte de questi zentilomeni che ha gubernato questo signore per fina a qui, la quale hera franzosa, non guberna più e l’altra, che in tuto gli hè contraria, hè montata in stato»).
È evidente che il duca di Savoia è sicuro dell’appoggio sforzesco, perché questi due avvenimenti, la nomina di Antonio di Romagnano e l’affermazione del partito antifrancese, come esplicitamente dichiarato in GS10, non sarebbero potuti accadere «senza lo favore et inteligencia de alcuno altro signor, et maxime del tuo signore, duca de Mediolano».
A questo punto possiamo riprendere e ampliare la tabella prima esposta.

Documento Periodo Avvenimento
M34-292v Seconda metà di luglio del 1457 Francesco Tomatis consegna a Giacomo Beretta un’«instructionem» da portare a Francesco Sforza.
M34-292v 28 luglio 1457 Francesco Sforza ha ricevuto Giacomo Beretta.
  Dicembre 1457 Ambasciata di Andrea Maletti a Milano
Beretta1 Dicembre 1457 Francesco Tomatis consegna a Giacomo Beretta un «pusculum» da portare a Francesco Sforza. Beretta manda l’«opusculum» a suo zio Guglielmo da Marliano perché lo porti al duca di Milano.
M34-354r-v; M34-354v; M34-371v Fine di gennaio-febbraio 1458 Incontri fra Jean de Compey e Corradino Giorgi, che avvengono con il pretesto di una causa che oppone il primo a Giacomo Beretta
GS8 8-14 marzo 1458 Ambasciata di Corradino Giorgi a Ludovico di Savoia, cui viene assicurato l’appoggio sforzesco.
GS11 Seconda metà di marzo del 1458 Ludovico di Savoia nomina cancelliere Antonio di Romagnano.
GS12 Seconda metà di marzo del 1458 Nel Consiglio sabaudo il partito antifrancese prende il sopravvento su quello filofrancese.

Quello che si può supporre è che il periodo di permanenza di Andrea Maletti presso la corte sforzesca sia stato un momento fondamentale non solo per quanto riguarda la liberazione di Ludovico Bolleri, ma anche per la stipulazione dell’alleanza tra Francesco Sforza e Ludovico di Savoia e che nel corso di esso venga stabilita la strategia che i due duchi terranno in seguito.
Possiamo concludere qui il discorso relativo alla «storia alla rovescia», anche se prima occorre fare una precisazione.
Non si deve ritenere che quella che abbiamo definito «storia alla rovescia» sia un gioco. Si tratta invece della necessità per Francesco Sforza di smentire le v

3.2.12. Un duca smemorato?
(Parte seconda: l’ambasciata di Corradino Giorgi al duca di Savoia)
Ma anche SG7 ed SG7-PS escludono Giorgi2-Av e Giorgi3-Av dalla Serie Giorgi-Sforza.
Ricevuta GS6, si simula che il 26 febbraio del 1458 Francesco Sforza prima scriva SG7 e poi SG7-PS, un poscritto di sole nove righe di cui la prima è occupata dalle seguenti parole: «Ponatur omnino in ciffra, etiam si littere priores scriberentur absque ciffra». Qual è il senso di queste parole?
Immaginiamo che il cifratore riceva SG7 ed SG7-PS. Leggendo su quest’ultima minuta «Ponatur omnino in ciffra», ammesso che non intuisca immediatamente quale sia il volere di Francesco Sforza, penserà pressappoco così: «“Omnino”? Mettere “tutto” in cifra? Il duca non può volermi dire di mettere in cifra solo “tutto” il poscritto, e quindi non la lettera, altrimenti, per riferirsi solo al poscritto, si sarebbe limitato a far scrivere “Ponatur in ciffra” oppure “In ciffra”, come fa di solito. Se ha ordinato di scrivermi “Ponatur omnino in ciffra”, è perché con “omnino” non vuole alludere solo al poscritto, bensì anche alla lettera».
Il senso più verosimile di «Ponatur omnino in ciffra» pare dunque essere il seguente: «Mettere tutto in cifra: poscritto e lettera cui esso andrà allegata».
A conferma di questa ipotesi prendiamo in esame il testo del poscritto: esso, infatti, pare implicare che la lettera che deve essere tratta da SG7 vada messa in cifra.
Se infatti Francesco Sforza scrive a Corradino Giorgi di fare la sua ambasciata «ad quello signore in secreto»; di scusarsi «como da ti che tu non hai commissione de fare tale relatione se non con la soa excellentia», nel caso in cui gli fosse «rechiesto che tu la mettessi inscripto o vero che tu la refferissi denanzi al suo Consiglio»; di «porgere le parole toe cossì limitate et con tanta discretione che non possa farsegli interpretatione che ne arecasse alcuno carico», «quando pur tu venissi a dire alcuna cosa denanzi al dicto Consiglio», è evidente che il duca di Milano è preoccupato che l’ambasciata del suo inviato resti segreta ed è quindi impensabile che la lettera nella quale essa è contenuta possa essere inviata in chiaro.
Tornando invece alla prima riga del poscritto, e più precisamente alla seconda parte di essa, dove è detto: «etiam si littere priores scriberentur absque ciffra», queste parole non sembrano poter avere altro significato che il seguente: «anche se lettere precedenti sono state scritte in chiaro». Si tratterebbe dunque di una comune proposizione concessiva nella quale il dato concesso viene dato per reale.
Per «Ponatur omnino in ciffra, etiam si littere priores scriberentur absque ciffra» proponiamo dunque questa traduzione: «Mettere tutto in cifra: poscritto e lettera cui esso andrà allegata, anche se le missive precedenti sono in chiaro».
Ma se le lettere precedenti sono in chiaro, è evidente che Giorgi2-Av e Giorgi3-Av non possono appartenere alla Serie Giorgi-Sforza, perché in esse, come abbiamo visto, viene riferita in modo inequivocabile la ricezione d’inesistenti lettere ducali cifrate.
Il motivo per il quale si simula che le lettere tratte dalle minute SG7 ed SG7-PS siano state messe in cifra lo si può capire solo cercando di comprendere all’interno di quale dinamica degli eventi si vuol far credere che esse si collochino.
Riteniamo che il modo migliore per comprendere quanto si vuole simulare sia avvenuto consista nell’assumere il punto di vista dell’eventuale ambasciatore francese a cui le missive qui in esame siano state mostrate.
Ricordiamo che l’ipotesi che qui si avanza è che le lettere della Serie Giorgi-Sforza siano missive ingannevoli ideate per essere esibite agli ambasciatori francesi che eventualmente fossero giunti a Milano e smentire le voci riguardanti la stipulazione di un’alleanza fra duca di Savoia e duca di Milano.
Sottolineiamo che non possiamo essere sicuri che esse siano state mostrate, anche se possiamo rilevare che dei non pochi ambasciatori francesi giunti a Milano dopo il giugno del 1458 tre si erano trovati presso il duca di Savoia insieme a Corradino Giorgi e avrebbero quindi potuto verificare l’autenticità o meno della corrispondenza intrattenuta fra l’inviato milanese e Francesco Sforza: ci riferiamo a Jean d’Amancier, XXXX e Guillaume Toraeu.
Pare evidente, infatti, che, nel momento in cui i francesi ritengono di avere più che motivate ragioni per sospettare che il duca di Milano si sia alleato con con quello di Savoia, vi saranno dubbi riguardo all’autenticità di qualsiasi tipo di documento venga loro esibito in cui l’alleanza risulti smentita
Riteniamo anzi che si fosse diffusa non solo la voce dell’allenza sabaudo sforzesca, ma anche che, per far credere autentico il conflitto simulato dai due duchi sullo sfondo della vicenda di Ludovico Bolleri, sarebbero state elaborate delle false missive.
In questa direzione vanno .
Come risulta da M34-373r, del 24 febbraio del 1458, il 7 febbraio precedente Ludovico di Savoia invia a Francesco Sforza una lettera, portata da un araldo, per informarlo che Renato d’Angiò si sta preparando militarmente per attaccarlo.
Il duca di Savoia, come risulta da SG7, prega il duca di Milano di «dargli favore et adiuto contra lo prelibato serenissimo re de Sicilia».
Sempre in M34-373r, Francesco Sforza risponde al duca sabaudo che «huius autem negocii gravitatem animadvertentes, nobili Conradino Georgio, familiari et oratori nostro apud vos existenti, [intentionem] et institutum nostrum vobis aperiendum uberius litteris explicavimus, uti ab eo uberius et latius intelliget excellencia vestra», riferendosi alla lettera tratta dalla minuta SG7.
In SG7 Francesco Sforza avvisa dunque Corradino Giorgi «come, inanzi lo giungere dela littera tua, per uno araldo de quello illustrissimo signore ne è portata una littera dela excellentia soa de dì VII». E prosegue così: «perché la natura de tale materia come tu intenderai è importantissima, habiamo deliberato ad la soa excellentia non fare altra particulare et distincta resposta per littere, ma per una breve resposta nostra ne referemo ad quello che scrivemo et commettemo ad ti che gli refferissi per nostra parte, come etiam vederai per la copia inclusa, dela quale l’originale reporta esso araldo». Segue quindi l’ambasciata che Corradino Giorgi deve fare a Ludovico di Savoia.
Francesco Sforza consiglia al duca di Savoia di liberare Ludovico Bolleri: «consyderando che per scrivere de soa excellentia non se specifica alcuna particulare cagione deli movimenti dela prefata serenità del re de Sicilia et examinando fra nuy sopra tale materia, ne era caduto in pensero se forse la soa serenità, como reputandosi offesa per la presa de domino Aluyso Bollero, suo feudatario, deliberasse con arme vindicare tale novitade, quale se ascrive ad iniuria, et, quando questa fosse la cagione, nuy per l’affectione et convinctione nostra fiducialmente gli saperiamo ricordare et confortare che non volesse per questa picola cosa lassare accendere uno grande fuoco, ma volesse lassare dicto domino Aluyse et alleviarsi dal carico quale gli potesse essere dato sì presso ad la maiestà del re de Franza […] et similiter presso ad lo prefato re di Sicilia».
In ogni caso, scrive il duca milanese, «confidamo tanto dela sapientia et alta prudentia di ciascuno de loro signori, li quali soglieno in ogni soa facenda passare con grande maturitade et consultissimamente, che tra loro se sopirà ogni occasione de controversia et restaranno in la solita pace et tranquillitate, et, quando tra le signorie sue pur restasse alcuna differentia, speramo che la sacratissima maiestà del re de Franza, a cuy portiamo observantia et reverentia come a nostro patre et signore singulare, il quale ama etiam et l’uno et l’altro singularmente, per l’auctoritate soa gli metterà opportuno remedio».
Dal canto suo Francesco Sforza vuole che Corradino Giorgi «di novo faci chiara la excellentia soa che sempre in ogni cosa che per nuy se potesse operare in adiuto, favore et beneficio suo, quanto se extendesse la nostra facultade et portasse lo honore nostro, nuy di bona voglia et largamente faressimo quello si conviene ala convinctione et fraternitate nostra et quanto gli habiamo più volte offerto».
Se poi «altra cagione gl’intervenesse, voglia soa excellentia farcene chiari, perché gli faremo resposta più precisa et cognoscerà che non mancharemo de quello ne stringa la fraternale amicicia et l’affinitate è tra nuy. Et ulterius gli ricordaray che in omnem eventum, quando paresse a sua signoria che nuy se interponissemo con la prefata maiestà, lo faremo non solo con littere et con messi, ma etiam con solenni ambassatori,  s’el serà mestero».
Pare evidente che Francesco Sforza ricusa la richiesta del duca di Savoia, riportata in SG7, di «dargli favore et adiuto contra lo prelibato serenissimo re de Sicilia», offrendo in cambio generiche profferte di aiuto, che peraltro non possono andare oltre «quanto se extendesse la nostra facultade et portasse lo honore nostro».
Che si voglia far credere che sia questo il senso dell’ambasciata fatta da Corradino Giorgi lo conferma quanto scrive Francesco Sforza a Marchese da Varese, Nicodemo Tranchedini e Antonio da Trezzo, ambasciatori milanesi rispettivamente a Venezia, Firenze e Napoli.
Al primo, infatti, in Venezia1 del 25 febbraio, scrive: «te mandiamo qui inclusa la copia de una lettera che novamente havemo recevuto dal duca de Savoya. La resposta nostra è stata breve et honesta et in modo che, occorendoli pur el bisogno de essere adiutato, non haverà ad sperare in niuno nostro favore».
E così scrive al secondo, in Firenze1 del 27 febbraio: «te mandiamo una copia de lettere ce ha scritto novamente el duca de Savoya, per le quale pare ch’el re Renato gli vogli fare guerra. […] Nuy havemo risposto al dicto duca de Savoya una lettera bona et humana, ma concludemo in effecto che […] nuy non possiamo impazarce de questa facenda, ma che, nientedemeno, in ogni cosa ne serà possibile, nuy ne sforzaremo de fargli quello che poteremo fare con nostro honore et con iustificatione, che la faremo voluntieri et de bona voglia».
E infine queste sono le parole che troviamo in Napoli2, del 27 febbraio, diretta ad Antonio da Trezzo: «te mandamo una copia de littera ce ha scritto lo illustre duca de Savoya, per la quale monstra che lo duca Renato vogli moverli guerra contra. […] Nuy gli havemo facto una bona resposta et humane, ma in effecto concluso che […] nuy non ne possiamo impazare de questa facenda, ma pur, nientedemeno, che saremo prompti et parechiati ad fare per la signoria soa tutto quello che con honestà et iustificatione nostra potremo fare».
Quello che si vuol far credere, dunque, è che le missive tratte dalle minute SG7 ed SG7-PS siano state messe in cifra non perché contengano un accoglimento della richiesta di aiuto sabauda, bensì per il timore che, nel caso d’intercettazione, le generiche offerte di aiuto sforzesche possano essere fraintese e interpretate come un aperto appoggio a Ludovico di Savoia nella sua controversia con Renato d’Angiò.
E che si voglia far credere che sia questa la massima preoccupazione sforzesca lo conferma il fatto che, come abbiamo visto, in SG7-PS il duca scrive: «quando pur tu venissi a dire alcuna cosa denanzi al dicto Consiglio, guarda ad porgere le parole toe cossì limitate et con tanta discretione che non possa farsegli interpretatione che ne arecasse alcuno carico, presertim presso al serenissimo re de Sicilia quando ne havesse notitia». E in questa medesima direzione vanno anche le parole iniziali di SG7-PS con le quali il duca raccomanda a Corradino Giorgi di fare la sua ambasciata «ad quello signore in secreto et, s’el te fosse rechiesto che tu la mettessi inscripto o vero che tu la refferissi denanzi al suo Consiglio, excusati como da ti che tu non hai commissione de fare tale relatione se non con la soa excellentia».
Prima di cercare di tracciare quanto in realtà avvenne ci pare opportuno fare una premessa.
Nella Serie Giorgi-Sforza gli avvenimenti che portano alla stipulazione dell’alleanza fra il duca di Savoia e il duca di Milano non vengono nascosti, ma orientati in modo da darne una nuova versione, che, dimostrando tutto il loro carattere ambiguo e polisemico, giustichi il fraintendimento francese e al contempo lo corregga. Le false missive della serie lasciano quindi trasparire i segni della storia per così dire «autentica», ma solo per trasformarli in funzione di una vera e propria «storia alla rovescia», una nuova interpretazione che caratterizza e collega gli eventi in modo tale da far dire loro che il duca di Milano e il duca di Savoia non possono essersi alleati. Non si tratta di un gioco, bensì della necessità per Francesco Sforza di smentire le inevitabili voci (se non vere, almeno non completamente false) diffusesi nel corso delle trattative con Ludovico di Savoia.
Questa considerazione implica dunque che le lettere contengano una parte di verità, che però occorre rintracciare. Aggiungiamo che il quadro politico che grazie a esse si riuscirà a delineare sarà tanto più verosimile quanto meno contraddittorio. La precisazione si rende necessaria perché la realtà politica che potremmo riassumere nell’espressione «tutti amici di tutti, tutti nemici di tutti» che a un certo punto si delinea sullo sfondo della vicenda di Ludovico Bolleri pare francamente inverosimile e paradossale. Né si capisce perché il mondo delle lettere, nel quale non si muovono personaggi di fantasia, ma uomini con enormi responsabilità, debba funzionare secondo meccanismi diversi da quelli del mondo reale: vi sarà pur stato un momento, non importa se della durata di un giorno o di un mese, in cui le relazioni fra i vari soggetti avranno avuto una determinata conformazione, senza che con questo si voglia dire che in seguito non sia potuta mutare. Se dal mondo presente nelle lettere emerge una situazione politica troppo incomprensibile, poco o pochissimo accettabile dal punto di vista della sua verosimiglianza, potrebbe non essere «colpa» delle lettere o degli uomini di cui si parla, ma di noi lettori contemporanei che non le e li capiamo per via dell’inadeguatezza della nostra chiave interpretativa. Potrebbe infatti accadere che, modificando il proprio approccio, dalle missive emerga un mondo meno contraddittorio.
Per verificare lo stretto legame fra «storia autentica» e «storia alla rovescia», possiamo riprendere in considerazione la minuta SG7.
Come ormai sappiamo, la lettera tratta da essa va messa in cifra perché il duca teme che, in caso d’intercettazione, s’interpretino le sue generiche e inconsistenti profferte di aiuto al duca di Savoia come un appoggio fattivo contro Renato d’Angiò.
Innanzi tutto giova ricordare come essa appartenga a una serie di lettere ingannevoli, concepite per essere.
È utile ricordare quanto scrive Francesco Sforza: «faci chiara la excellentia soa che sempre in ogni cosa che per nuy se potesse operare in adiuto, favore et beneficio suo, quanto se extendesse la nostra facultade et portasse lo honore nostro, nuy di bona voglia et largamente faressimo quello si conviene ala convinctione et fraternitate nostra et quanto gli habiamo più volte offerto»

[continua]

[1] Segre, Cesare, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985, p. 79. Segre definisce «avantesto» «l’insieme dei materiali precedenti la stesura definitiva» di un testo, nel nostro caso costituito da lettere.
[2] Il duca Ludovico di Savoia.
[3] A Centallo.
[4] Così nel testo.
[5] Senatore, Francesco, «Uno mundo de carta», Napoli, Liguori Editore, 1998, pp. 187-189.
[6] Segre, Cesare, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985, p. 186.
[7] Marchese, Angelo, Dizionario di retorica e di stilistica, Milano, Mondadori, 1978, p. 261.
[8] Castiglioni, Luigi e Mariotti, Scevola, Vocabolario della lingua latina, Torino, Loescher, p. 963, lemma «nove».
[9] Battaglia, Salvatore, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, UTET, 1994, vol. XI, p. 676, lemma «Nuovamente».
[10] Nella decifrazione Giorgi3-Av-Dec si legge: «dove remandato».
[11] Umberto Valueto.
[12] Battaglia, Salvatore, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, UTET, 1994, vol. VIII, p. 770, lemma «Largamente»: «Diffusamente, a lungo; ampiamente, esaurientemente; con abbondanza di particolari o di argomenti».
[13] Battaglia, Salvatore, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, UTET, 1992, vol. I, p. 361, lemma «Altrimenti»: «Diversamente, in altro o diverso modo».
[14] Francesco Senatore affronta il discorso relativo alle cifre alle pp. 256-260 e 396-417 di «Uno mundo de carta», Napoli, Liguori Editore, 1998.
[15] Per fuggire.
[16] Per fuggire.
[17] Senatore, Francesco, «Uno mundo de carta», Napoli, Liguori Editore, 1998, p. 256.
[18] La polvere.
[19] Senatore, Francesco, «Uno mundo de carta», Napoli, Liguori Editore, 1998, p. 256.
[20] Devoto, Giacomo e Oli, Gian Carlo, <<Il dizionario della lingua italiana>>, Firenze,Le Monnier, 1990, p. 792.
[21] Di Ludovico di Savoia.
[22] Di Ludovico Bolleri.

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