Carlo VII (G. du Fresne de Beaucourt)

Armagnac qualche data
Odet Aydie, bailli de Cotentin
intrighi del delfino
cardinale d’Avignone

Capitolo III.
La corte nel 1454 e nel 1455. La spedizione contro il conte d’Armagnac.

Consiglieri influenti: Dunois, Chabannes, Gaucourt, Gouffier, etc. Questione del conte d’Armagnac

“Un ambasciatore milanese venuto in Francia all’inizio del 1455, rendendo conto al duca di Milano di ciò che accadeva alla corte di Carlo VII, scriveva: «Non vi è persona attualmente che abbia un credito particolare sul re di Francia. Colui che ha più autorità presso di lui pare essere il bastardo d’Orléans». [Raimondo de’ Marliani ASM gennaio giugno 1455]. È in effetti Dunois quello che, nel corso degli ultimi anni di regno, è quello che si poteva chiamare il ministro dirigente: nulla si fa senza che il re prenda il suo avviso, sans qu’il lui ne fasse part s’il est absent. L’ammiraglio di Bueil ha così un ruolo importante; e malgrado le accusa portate contro di lui, malgrado i tentativi fatti per togliergli la fiducia del re, gli è nel favore più che mai. Un altro consigliere molto ecouté è Antoine de Chabannes, comte de Dammartin: à lui le missioni confidenziali, la cura di sorvegliare le brighe del Delfino, d’agire quand il y a un coup à frapper, une mesure à executer. L’influenza del re Renato e del conte del Maine è singolarmente diminuita; una certa rivalità sembra esistere tra quest’ultimo e Dunois, il cui ascendente suscita più di una gelosia. Il sire di Gaucourt, maìtre d’hotel del re, è sempre molto nella confidenza del suo signore, che gli fa predisporre un alloggio nella basse-cour del castello di Montils. Nell’entourage intimo, i personaggi più in favore sono Guillaume Gouffier, che successe a Villequier come primo ciambellano e qui a una grande parte dei benefici del suo signore; Jean de Levis, signore di Vauvert; Antoine d’Aubusson signore di Monteil; Charles de Gaucourt, signore di Chateaubrun, che, il 3 ottobre 1454, divenne lo sposo di Colette de Vaux, damigella della regina.

Capitolo IV
La cospirazione del duca d’Alençon
1455-1456

Ordine d’arresto [del duca d’Alençon] dato dal re; Dunois va a trovare il duca e lo fa prigioniero Il duca è condotto nel Bourbonnais, suo incontro con il re, è imprigionato e si istruisce il suo processo

Il re fece così partire il conte di Dunois per procedere a un’inchiesta e prendere le misure necessarie. Presto l’arcivescovo di Narbonne e Brezé comfermarono i dettagli relativi al complotto. Carlo VII riunì così il suo consiglio: fu deciso l’arresto del duca. Jean Le Boursier e Guillaum Cousinot, in compagnia di Odet d’Aydie, balì di Cotentin, portatore di istruzioni speciali per Dunois, partirono il 15 maggio 1456.
Il duca d’Alençon fu tenuto prigioniero nel castello di Aigues-Mortes fino al giorno in cui dovette comparire, a Vendome, davanti alla corte dei pari presieduta dal re.

Capitolo V
La fuga del delfino
1454-1456

Georges Chastellain, la cui testimonianza è così preziosa per tutto ciò che concerne il delfino,
Il delfino non si contentava di restare in stato d’insubordinazione riguardo a suo padre; intrigava da tutte le parti; intratteneva relazioni con il duca di Borgogna, il duca d’Alençon, il conte d’Armagnac; era in corrispondenza con il duca di Milano.
C’etait forse dell’intenzione di mettersi sul piede di guerra, perché a questo momento venne a rompere con il duca di Savoia e si dispose a invadere la Bresse.
Il duca di Savoia si trovò allora in una situazione molto precaria. Minacciato di un attacco da parte del suo genero, non era senza timori dalla parte della Francia, perché non aveva mantenuto nessuno degli impegni contratti al tempo degli accordi di Cleppé.
Durante l’anno 1453 Carlo VII non aveva cessato di reclamare l’esecuzione di questo trattato. Sollecitato dai signori savoiardi che dichiaravano non avere speranza che in Dio e in lui [Lettera di Jean de Seyssel maresciallo di Savoia e di altri signori al re] Carlo VII aveva alla data del 25 giugno [1453] inviato al duca un nuovo appello.
Alla fine di luglio si tenne una conferenza a Lione. Questi negoziati si prolungarono nel corso dell’autunno e una nuova conferenza parait avere avuto luogo a Lione nel mese di novembre. Le difficoltà risultanti dall’ostinazione del duca a non adempire affatto i suoi impegni si complicarono, nel corso del 1453, per il rifiuto di lasciare libero passaggio alle truppe francesi che si recavano in Lombardia sotto gli ordini di re Renato.
Mentre perseverava nella sua condotta poco loyale, il duca di Savoia pretendeva di conservare buoni rapporti con il re. Gli inviava frequenti messaggi. Un’ambasciata partì in questo momento [menzionata in una lettera del duca del giugno 1454] per Ginevra, per insistere una volta di più sull’osservazione del trattato. Era appena tornata presso il re, che Carlo VII apprende che il duca pretendeva che, se non aveva affatto, così come era impegnato, fatto tornare i nobili banditi da lui, era in virtù di una intesa segreta con Carlo VII.
Nel frattempo, Carlo VII fece partire il sire de Gaucourt, Blaise Greslé e Jean de Lornay. [giugno 1454] [Jehan de Lornay, escuyer, conseiller del re]
Nel frattempo il duca di Savoia si sforzava di calmare i malcontenti del re.
Il duca incaricava nello stesso tempo uno dei suoi servitori di mettere il cardinale d’Estouteville, che era allora in Francia, al corrente della situazione, e di domandargli di agire in suo favore presso il re. [fine giugno 1454]
Il duca di Savoia non tarda a convincersi che il re, al quale i signori savoiardi avevano rivolti un nuovo appello, non si contentava affatto di vane parole e che occorrevano degli atti: così il 2 luglio, dà lettere patenti per le quali dichiara di rimettersi alla decisione di Carlo VII relativamente alla questione dei nobili banditi dai suoi stati; il 7 per altre lettere protesta la sua ferma intenzione di restare fedele agli impegni presi verso il re. Il 6 agosto a Pressigny Carlo VII rende la sua decisione: il duca doveva cassare la sentenza da lui data a Pont de Beauvoisin il 17 aprile 1451. Il 23 agosto seguente il duca dava sue lettere di ratificazione.
Rientrando nelle grazie del re, il duca di Savoia gli aveva chiesto di proteggerlo contro il delfino che, nel mese di marzo [1454], era entrato nella Bresse a mani armate. Carlo VII acconsentì. Invia una ambasciata alla corte di Savoia e designa Regnault de Dresnay per andare a trovare il delfino. Dresnay doveva nello stesso tempo visitare il duca di Milano che in questo momento (30 agosto) veniva a concludere un trattato di pace con il duca di Savoia. Da parte sua il duca di Borgogna il primo agosto designa degli ambasciatori che si rechino presso il duca di Savoia e dal delfino e si occupino di una pacificazione.
Il duca di Savoia aveva fatto di tutto per calmare l’irritazione del suo genero: gli aveva inviato una ambasciata, con la missione di offrire tutte le concessioni che era in suo potere di fare. l’intervento del re venne a tirare fuori dagli imbarazzi il duca.
Il 21 agosto Dresnay era presso il delfino.
Si recò [il sire di Gaucourt] ad Annecy, dove si apriva una conferenza alla quale presero parte ambasciatori del duca di Borgogna e inviati della città di Berna. Un accordo fu stipulato il 14 settembre.
Nel corso dell’anno 1455, Carlo VII non cessa di perseguire il suo duplice scopo: sventare gli intrighi del delfino; obbligare il duca di Savoia ad adempire i suoi impegni verso la Corona.
Al mese di marzo [1455] [il re] invia Guillaume Toreau in Savoia e nel Milanese; questo ambasciatore è incaricato di portare a Sforza una lettera nella quale il re gli chiede di non concludere alcun trattato con il delfino, ce à quoi le duc de Milan s’engagé. [Lettera del re a Sforza 18 marzo 1455 e lettera dello Sforza al re 12 aprile 1455 minuta ASM El pertanto videndo io che tale intelligentia è molesta alla Maestà vestra, io non la faria per condictione alcuna del mondo.]
Il 31 marzo il duca di Savoia scrive al re e gli invia un ambasciatore per informarlo dell’attentato commesso da Jean de Compey contro Pierre de Menton e suo figlio, al momento in cui il duca si impegnava, conformemente al trattato, a trattare un accordo tra Compey e i nobili banditi dalla Savoia. Carlo VII risponde il 20 aprile che conta che il duca faccia fare di tale crimine tale riparazione che il suo onore e l’onore del re siano salvi.
Nello stesso tempo fece partire Chabannes, con missione d’impedire che il duca prestasse orecchio a delle proposte del Delfino che cercava di ottenere il suo appoggio contro il re.
Il 25 aprile Carlo VII scrive a Chabannes: ho ricevuto ora le lettere che voi m’avete inviato dell’illustre cugino di Dunois, le quali io vi rimando; e mi sembra che voi dobbiate adoperarvi con diligenza come già avete cominciato, perché lui-meme par les lettres le conseille. Chabannes riuscì a sventare le brighe del Delfino. Alla fine di maggio [1455] Jean de Lornay ritorna dalla Savoia e porta buone notizie delle disposizioni del duca. Questo è il momento in cui Carlo VII intraprende la sua spedizione contro il conte d’Armagnac e in cui Chabannes va ad occupare militarmente la Rouergue. Il 31 maggio il duca di Savoia invia tre ambasciatori al re; il 30 giugno dà commissione al suo maresciallo, Jean de Seyssel, di recarsi a Macon, dove doveva tenersi una conferenza per la fine di luglio per regolare definitivamente la questione dei nobili savoisien. Alla fine d’agosto, una missione importante è affidata a Dunois e al conestabile: partono per Ginevra per regolare tutte le questioni in litigio tra il duca e il re.
Nello stesso tempo Chabannes è inviato a Lione per dirigere, s’il y a lieu, le operazioni militari. Il re è risoluto ad agire con vigore contro il suo figlio rivoltoso. Ma, prima, occorre essere sicuro du concours ou tout au moins della neutralità del duca di Savoia.
Il 19 settembre Pierre Doriole uno dei consiglieri del re interamente alla discrezione di Chabannes, scrive a quest’ultimo: siate sicuro che monsignor di Dunois, che il re chiama il chasseur de marée, e così monsignor del Maine hanno fatto di peggio che hanno potuto contro voi, ma les oiseaux qui chantent la nuit ne vous ont point oublié.
Nei primi giorni di ottobre si attendeva a Lione il principe e la principessa di Piemonte, che Dunois e il connestabile erano stati incaricati di ricondurre. Il 15 arrivarono in compagnia della duchessa di Savoia. Carlo VII ordina al suo procuratore generale Jean Dauvet di prendere in mano l’affare dei nobili savoiardi.
Per essere più vicino nel seguire gli avvenimenti, Carlo VII aveva abbandonato il Berry nei primi giorni di ottobre e si era recato nel Bourbonnais. Nello stesso tempo [inizio novembre] Jean de la Gardette, prevosto de l’hotel, fu inviato a Ginevra: aveva missione di procedere all’arresto di certi «Chipriens, Chipriennes e altri stranieri» che dominavano alla corte di Savoia e che il duca aveva abbandonato alla giustizia del re per procedere contro loro ainsi qu’il appartiendrait. Il duca non tarda a recarsi a Saint-Pourçain, in compagnia della duchessa e del principe e della principessa di Piemonte. Il 16 [dicembre] conferma le stipulazioni fatte a Cleppé nel mese di ottobre 1452 e designa i 200 nobili che dovevano giurare e garantire l’esecuzione del trattato.
Il duca fece un lungo soggiorno a Saint-Pourçain: vi era ancora il 25 febbraio 1456, data in cui dà delle lettere per le quali s’impegnava a convocare gli Stati dei suoi paesi per ratificare le convenzioni stipulate con Carlo VII. Questa riunione [gli Stati generali] alla quale Carlo VII si fece rappresentare dal vescovo di Viviers, Chabannes e due altri consiglieri, ebbe luogo all’inizio di maggio [1456].
Mentre il duca di Savoia, spinto dai suoi ultimi retranchements, se decidait a ceder et scellait la sua riconciliazione con il re, di cui ormai doveva essere alleato fedele, il delfino vedeva accrescersi la tempesta che andava a formarsi su di lui. Luigi cercava da tutte le parti degli aiuti per parare il colpo che lo minacciava. Era in relazioni con il duca di Borgogna, con il duca di Bretagna, con il conte d’Armagnac, con il duca d’Alençon.
Riportando il fatto al suo signore, l’inviato del duca d’Alençon [in Inghilterra] aggiunse che, autant qu’il avait pu s’en apercevoir, il delfino era l’uomo di Francia che gli Inglesi temevano di più.
Se il delfino eut ete il terrore dei nemici del reame – terrore ben mal fondato poiché un giorno doveva farsi loro aiuto – la cosa non poteva che fargli onore; ma è con ragione che alla corte di Carlo VII si temeva che non fosse capace di qualche colpo minacioso. In un Consiglio tenuto il 18 dicembre 1455 a Saint-Pourcain, al quale assistettero il connestabile, il cancelliere, Dunois, Chabannes, il vescovo di Coutances e parecchi altri nobili consiglieri del trono furono prese delle decisioni a proposito di una misura arbitraria che il delfino prese: aveva stabilito un’imposta sui grani che venivano dal reame.
Il delfino era stato molto turbato alla notizia della venuta di suo padre nel Bourbonnais.
Il 29 aprile 1456 al castello di Chatelier Coursillon (consigliere e ciambellano) presenta le lettera di credenza del Delfino, in data 17.
Nel frattempo il re apprese la cospirazione del duca d’Alençon. Fece partire il conte di Dunois per prendere le misure suggerite dalle circostanze. Il 15 maggio, gli invia Odet d’Aydie, balì di Cotentin, portatore di sue istruzioni. Il balì era incaricato nello stesso tempo di esporre a Dunois tutto quello che era accaduto, dopo che era partito, relativamente al delfino, e di comunicargli la risposta fatta a Coursillon. [La quale risposta, disse il re, è conforme all’opinione che mondit signor di Dunoys deist al re su questa materia, derrenier qu’il parti de luy».]
Il delfino vedendo che il passo fatto presso suo padre non aveva avuto affatto successo, decise di rivolgersi al duca d’Orléans, perché intervenisse in suo favore. Il 18 maggio [1456] gli scrive. Invia al duca copia di tutti i documenti, pregandolo di trasferirsi il più presto possibile presso il re o di inviargli qualcuno.
Alain de Coetivy, cardinale d’Avignone, legato del papa.
30 agosto: fuga del delfino.

Capitolo VI
Intervento del duca di Borgogna nella questione del Delfino
1456

Siamo arrivati al punto in cui la crisi diviene più aspra che mai: la fuga del delfino, la sua installazione negli stati di Filippo il Buono furono, dice il cronista, materia del più aspro e del più pericoloso brouillon qui oncques s’y trouva.
Per la sua fuga improvvisa, nel momento in cui suo padre si apprestava a obbligare la sottomissione, il Delfino aveva gettato il guanto.
Il re fa assemblare genti d’arme sulle frontiere della Borgogna. Il delfinato non tarda ad essere occupato militarmente senza che si incontrasse la minima resistenza.
Abbandonando il Bourbonnais, Carlo VII avanza verso Lione, dove arriva il 18 ottobre.
Importava al re di assicurarsi le concours del duca di Savoia. Dal 20 agosto [1456] precedente questo principe s’era impegnato a non dare alcun assistenza al delfino. Alla prima notizia della fuga del principe, il duca ne diede avviso al re. Questi l’aveva ringraziato, esprimendogli il suo dispiacere per il fatto che la delfina fosse stata lasciata senza provvisioni da suo marito.
Il re era in corrispondenza con la duchessa di Savoia, con il maresciallo di Savoia Jean de Seyssel, che gli comunicava le notizie; era stato avvisato che il duca e la duchessa si disponevano ad andare da lui. Chabannes ebbe missione d’andare a trovare il duca e di combinare con lui le misure di sicurezza da prendere. Gli scriveva il re il 2 novembre: fate verso di lui in modo tale che invii subito e in tutta diligenza al ponte di Seyssel e agli altri passaggi del suo paese fin verso le marches della Borgogna per sapere delle notizie del bastardo d’Armagnac e di Garguesalle, che sono i principali che hanno séduit e consigliato nostro figlio il delfino ad andarsene fuori del Delfinato e a tenere i termini che tiene, per sapere delle notizie della loro venuta e mettere così buona guardia che, se passassero, si prendessero e conducessero da noi.
Il re invia quindi [12 settembre 1456] Georges de Vouhec affinché il duca [di Borgogna] sia avvertito di ciò che è accaduto e, se il delfino andasse o inviasse da lui, non gli desse alcun retrait, supporto, favore o aiuto
La rottura con il duca di Borgogna pareva dunque imminente. [dicembre 1456] Al ritorno dei suoi ambasciatori il duca fece divulgare che in tutti gli stati ciascuno si mettesse in armi, pronto a partire al primo segnale. Dalla sua parte Carlo VII fece rinforzare le sue guarnigioni sulle frontiere dei possessi borgognoni.
Si agita nello stesso Consiglio del re la questione di sapere se il re non dovesse prendere l’offensiva per impossessarsi della persona del delfino e forzarlo alla sottomissione. La maggioranza del Consiglio sembrava disposta ad adottare questo partito e il re non ne era affatto indifferente, ma il signore di Prie, grand queux di Francia, in cui Carlo VII aveva grande fiducia fece osservare che potevano risultarne gravi pericoli.
Se la pace regnava ancora, era una pace in cui già il rumore delle armi si faceva sentire e che il minimo incidente poteva turbare.

Capitolo VII
Minacce di rottura con il duca di Borgogna

Arrivati l’8 maggio al castello di Saint-Priest, nel delfinato, dove si trovava il re, gli ambasciatori borgognoni furono trattenuti per parecchie settimane. Fu solamente il 23 aprile [1457] che Carlo VII fece loro dare risposta.
L’emozione causata dall’arresto di Otto Castellain [1 gennaio 1457] e di Gouffier si era appena placata quando si scoprì un complotto ordito per rapire il re al castello di Saint-Priest.
Quale era la mano che aveva diretto questo complotto? Si è a questo riguardo ridotti a delle congetture. La coincidenza dell’avvenimento con la presenza degli ambasciatori borgognoni eccita la diffidenza del re che ritarda la loro expédition e li tratta con grande freddezza. Senza attendere di più Carlo VII decise di tagliare uno dei punti che erano stato l’oggetto dei reclami del duca e del delfino: per lettere patenti dell’8 aprile mette il delfinato nelle proprie mani.
Il delfino decide allora d’inviare a cercare la sua donna, Carlotta di Savoia, che era restata nel Delfinato e che fino ad allora, a causa della sua giovane età, non era stata sua compagna che di nome. Carlo VII non fece alcuna opposizione. Ella arrivò ai primi giorni di luglio [1457].
Installando definitivamente il Delfino nei suoi stati, il duca di Borgogna non era senza apprensione circa le conseguenze che potevano risultare per lui.
Veniva a perdere un alleato molto prezioso nella persona del duca d’Alençon che, tout emprisonné che fu, restava in intelligenza con lui. Filippo si attendeva, da un momento all’altro, una dimostrazione armata del re dalla parte delle città della Somme.
D’altra parte gli inglesi gli davano più di un motivo di lamentela a causa degli eccessi che, a disprezzo delle tregue, commettevano senza posa sui suoi sudditi: una conferenza fu tenuta a Oye, dal 4 all’8 luglio, tra il conte di Warwick, governatore di Calais, e il conte d’Etampes, assistito da numerosi consiglieri del duca, per regolare le questioni in litigio.
Si decise [nel Consiglio del duca di Borgogna] che fosse a ogni costo pacificata una questione che insomma era di minima importanza et non doveva affatto alterare i buoni rapporti esistenti da lungo tempo tra le corti di Borgogna e di Inghilterra.
Del resto l’atteggiamento di Carlo VII, molto inasprito per la protezione che il duca accordava a suo figlio ribelle, imponeva le più grandi precauzioni: occorreva prima di tutto di mettersi in modo di resistere a un’aggressione che sembrava imminente.
Occorre parlare dell’intervento del re di Castiglia in favore del Delfino e di un grave avvenimento che venne a sorprendere il duca Filippo mentre visitava le sue città della Piccardia: una flotta francese apparve nella Manica, minacciando contemporaneamente le coste dell’Inghilterra e delle Fiandre.

Capitolo VIII
Relazioni con la Castiglia e con la Scozia seguito dei negoziati con il duca di Borgogna
1454-1457

Situazione politica dell’Inghilterra, protettorato del duca di York, ascendente di Margherita d’Angiò sul suo sposo, nel corso dell’estate del 1456 Giacomo II prende le armi, rinuncia ai suoi progetti d’invasione quando la regina riprende il potere e firma con Enrico VI una tregua di due anni.

Quale era allora la situazione degli affari in Inghilterra? Noi abbiamo visto che, il 22 maggio 1455, il duca di York aveva riportato un’eclatante vittoria a Saint-Alban; il suo rivale, il duca di Somerset, aveva trovato la morte come il duca di Northumberland e altri signori del partito di Enrico VI; lo stesso re d’Inghilterra era stato ferito ed era caduto nelle mani dei ribelli. Il duca di York, padrone del debole re, lo conduce a Londra; accolto con entusiasmo, diviene l’arbitro dei destini del reame. Poco dopo, Enrico VI ricade malato. Così quando a metà gennaio 1456 Enrico VI uscì dalla sua crisi il duca di York conservò il potere. Invano la regina Margherita d’Angiò, tenuta a distanza, si sforzava di riprendere le redini del governo.
Privo dell’appoggio sul quale contava, Giacomo II non era meno risoluto a prendere le armi. Il 10 maggio 1456 aveva inviato a Enrico VI una denuncia della tregua conclusa tre anni prima (23 maggio 1453); verso la metà di luglio era entrato in Inghilterra e aveva portato le ravage dans les comtés du Nord. Ma il cambiamento sopravvenuto alla metà dell’ottobre seguente nella direzione del governo gli fece abbandonare i suoi progetti d’invasione: la regina Margherita dopo essere riuscita a condurre con sé suo marito a Coventry s’impossessa del potere. Nel corso dei primi mesi del 1457 negoziati furono intrapresi tra Inghilterra e Scozia: porteranno alla conclusione di un trattato, firmato il 6 luglio 1457, portante tregua tra i due reami per due anni. Se la fazione degli York restava minacciosa, sembrava per il momento essere disarmata.

Capitolo IX
La questione di Luxembourg
Partenza della grande ambasciata inviata in Francia da Ladislao; trova il re gravemente malato a Tours.
Partita da Praga il 10 ottobre [1457], l’ambasciata fu accolta con grande. A Amboise, signori della corte vennero a riceverla e la condussero a Tours, dove vi fu la sua entrata l’8 dicembre. Una notabile deputazione in cui figuravano i conti de la Marche, di Vendome, di Foix, di Dunois, l’arcivescovo di Tour, i vescovi di Coutances e di Mans, il cancelliere di Francia, il marchese di Saluzzo e il giovane Filippo di Savoia, che risiedeva allora a corte, s’era portata a incontrarla. L’ambasciata ungherese arrivò a Tours in un momento critico. Il re cadde malato e la gravità del suo stato causò gravi allarmi. La notizia della sua morte si espandeva nel reame. Pervenne alla piccola corte di Genappe, dove fu accolta con una gioia che il delfino poté appena dissimulare. Il ricevimento [degli ambasciatori ungheresi] ebbe luogo il 18 dicembre, al castello di Montils-les-Tours.
Essendo il re di Francia malato, non vi era persona che osasse fargli sapere la notizia [della morte del re ungherese Ladislao]. La regina raccomanda ai suoi ministri, a tutte gli ufficiali reali di conservare il silenzio, in modo che il re, saputo dell’avvenimento, non fosse colpito a morte. [fine dicembre]

Capitolo X
Il processo del duca d’Alencon
Ingiunzione inviata al duca di Borgogna, preparativi di guerra fatti da una parte e dall’altra, discorso del duca d’Orléans in favore del suo genero
Conformemente al parere del Parlamento, una ordinanza reale, resa a Montrichard il 23 maggio 1458, convoca a Montargis, per il primo giugno, i pari di Francia e i principi di sangue tenant pairie. Ma il re non aveva affatto atteso fino ad allora per inviare una intimazione al duca di Borgogna, doye des pairs. [Il duca di Borgogna si aspettava questa intimazione. E’ senza dubbio in previsione dell’atteggiamento che avrebbe dovuto prendere che il 21 marzo 1458 invia sur affari segreti lettere chiusi a vari signori. All’inizio d’aprile les cinq chevaux di guerra del duca sono condotti da Gand a Courtray]
Carlo VII aveva sognato di mettere in causa il conte d’Armagnac nello stesso tempo che il duca d’Alencon; pensava che questi due principi avessero di comune accordo tramato la cospirazione; così aveva fatto tenere in prigione, senza mettearli a morte, tous ceux qu’on avait pu saisir comme ayant trempé nell’affare. Sia che le rivelazioni non fossero affatto abbastanza probanti, sia che avesse abbandonato questo disegno, il re decidette di non agire che contro il duca d’Alencon; pensava che il duca di Borgogna non fosse affatto estraneo al complotto, e aveva la volontà ben arretée, se questo principe si trovasse compromesso, di denunciarlo davanti le lit di giustizia per farlo condannare con il duca d’Alencon. Questo è almeno quello che pretende il borgognone Chastellain, di cui è impossibile controllare la testimonianza. Dans questa previsione Carlo VII volendo in caso di rottura con il duca di Borgogna, essere in grado di fronteggiare le eventualità convoca il ban e l’arriére-ban dans le ville della Somme, engagées in virtù del trattato d’Arras. Da parte sua il duca, senza attendere la risposta che il Toison d’Or doveva portargli fece ugualmente pubblicare il ban e l’arriére ban in tutti i suoi stati e si dispose ad andare a Montargis con un grande apparato. I preparativi militari si fecero dunque da ogni parte, con grande stupore delle popolazioni che temevano di vedere ritornare gli orrori della guerra.
Il duca d’Orléans volle levare la voce a favore del genero [il duca d’Alencon, il cui processo inizia il 26 agosto 1458]

Capitolo XI
Politica di Carlo VI in Germania. La grande ambasciata del duca di Borgogna.
Conseguenza di questo atto [acquisizione del ducato di Lussemburgo da parte di Carlo VII], provvedimenti del duca di Borgogna e del delfino, contano sulla morte vicina del re, considerata la sua salute malaticcia, per liberarsi delle loro difficoltà.
Quali andavano ad essere le conseguenze dell’acquisizione del ducato di Lussemburgo da parte di Carlo VII? Non andava essa a comportare un rottura definitiva con Filippo il Buono? Sei settimane prima della firma dei trattati il 20 marzo 1459, un’ambasciata borgognona era apparsa alla corte di Francia; era venuta a riprendere i negoziati appena interrotti per il processo del duca d’Alencon.
Gli ambasciatori inviati da Filippo a Montargis e a Vendome avevano soggiornato per tre mesi. Avevano potuto studiare da vicino le disposizioni di Carlo VII e dei suoi consiglieri. Avevano saputo che parecchi di questi, stimando che era impossibile d’arracher le Dauphin à la retraite choise par lui e costringerlo alla sottomissione, engageaient vivamente il loro padrone a diseredarlo e a designare per successore il suo secondo figlio Carlo; ma avevano potuto constatare anche che la salute del re era molto scossa e che pareva affetto da un male incurabile. Dal canto suo il delfino aveva le sue spie che lo mettevano al corrente di tutto quello che avveniva a Corte. Già suoi famigliari gli consigliavano di avvicinarsi alla frontiera e di tenersi pronto a marciare su Reims per farsi incoronare. Luigi la cui unica preoccupazione era stata sempre di mettersi in possesso del potere, sentiva crescere ogni giorno la sua impazienza di regnare, consultava senza posa astrologi, e faceva fare loro dei calcoli per sapere se suo padre poteva scampare al male che lo corrodeva. Quando gli fu riportato che la morte era inevitabile e che il termine fatale era vicino non si sentiva a proprio agio: sembrava, dice Chastellain, languire nell’attesa dell’ora promessa. Attendendo che una morte vicina venisse a liberare il duca [di Borgogna] dalle sue preoccupazioni, vedeva ogni giorno Carlo VII fortificare la sua potenza con nuove alleanze et meme par des trattati passés con le comunità vicine dei suoi propri stati, ma gli occorreva tollerare di le minacce di rottura e dissimulare il suo cruccio, preservandosi il meglio che poteva contro il pericolo imminente di una guerra aperta.

Capitolo XII
Politica di Carlo VII in Italia L’occupazione di Genova Il congresso di Mantova 1454-1459
A metà marzo 1455 invia uno dei suoi segretari, Guillaume Toreau, al duca di Milano. Verso lo stesso periodo un’altra ambasciata partì, incaricata di una missione presso il papa, il re d’Aragona e la repubblica di Firenze.
Questo vecchio rancore contro i Genovesi [di Alfonso d’Aragona] non tardò a manifestarsi con degli atti: una flotta comandata dal marchese di Villamarino comparve nel golfo di Genova e gettò l’allarme nelle due riviere. Il doge Fregoso, vedendosi così minacciato, fece delle aperture segrete alla Francia e prese Antoine de Chabannes per intermediario. Questo è quello che risulta da una lettera di Carlo VII che scrisse a Chabannes il 27 maggio 1455. Sforza che temeva sempre un nuovo intervento del re in Italia, ne fut pas sans avoir vent della cosa. Noi abbiamo una lettera che il doge di Genova gli scrive alla data del 29 giugno: si scusa di non averlo informato prima di un disegno che si tramava per consegnare Genova al re di Francia. Questo progetto non era potuto terminare, i congiurati avevano trovato modo di mettersi in possesso del castello di Savona. Doveva stare in guardia contro questa impresa. Il doge ne doutait pas que il duca di Milano n’en fut aussi deplaisant qu’il l’était lui-meme; indicava le misure da prendere di concerto per prevenire le conseguenze. Era questo un jeu joué? E’ possibile. Fatto sta che Fregoso era allora minacciato nel suo potere par les menées de factieux qui agissaient sotto l’impulso di Villamarino: grazie a un abile stratagemma, giunse a parare questo colpo (28 luglio). Un armistizio era stato concluso tra Alfonso V e la repubblica di Genova, la flotta napoletana non tardò a ritirarsi.
Tout diffidando di Carlo VII il duca di Milano cercò di intrattenere con lui relazioni amichevoli. Avendo ricevuto delle lamentele su intelligenze che intratteneva con il delfino, Sforza aveva protestato con energia e fatto le più calorose dichiarazioni di sottomissione alla casa di Francia, di cui suo padre era stato costante servitore. [Lettera del 12 aprile 1455 ASM].
Nel mese di novembre gli [al re] invia un ambasciatore incaricato di spiegare i motivi che l’avevano portato a firmare con il re d’Aragona un trattato indispensabile alla tranquillità dell’Italia e protestare che nulla era cambiato delle sue disposizioni riguardo la molto gloriosa casa di Francia.
Ma mentre faceva a Carlo VII queste belle proteste, Sforza teneva un bel altro linguaggio con il suo ambasciatore presso il re d’Aragona: una missiva inviata a Antonio da Trezzo ci rivela il fondo del suo pensiero. «Dite a sua Maestà, scriveva, che dalla Francia noi si è informati che, quando si sono conosciuti i negoziati che hanno preceduto l’allenza con sua maestà il re di Francia è stato insistentemente pressato dal duca Renato, dal duca d’Orléans e molti altri di inviare le sue genti per fare l’impresa d’Italia. Cela a decidé il re a mander pres de lui il duca di Savoia, che è andato a trovarlo, accompagnato dalla sua donna e dai suoi figli. È necessario che sua maestà sia ben informata di quello che accade a Genova. Una rivoluzione pare imminente: il figlio del duca Renato s’impegna dans ce sens, ce qui gli ha fatto prolungare il suo soggiorno in Italia. Abbiamo avuto avviso recentemente che i fuorusciti di Genova si sono riuniti in un certo luogo e sono risoluti a darsi al diavolo e a correre tutti i rischi piuttosto che restare dove sono. Il doge di Genova se soutient encore. Noi pratichiamo continuamente sia con i fuorusciti sia con il doge e cerchiamo di calmarli al meglio possibile, per guadagnare tempo così che lo stato non cada nelle mani dei Francesi, fatto che non sarebbe un affare né per sua maestà né per noi. [poi vedi Ilardi] [28 novembre 1455 Buser].
Le menées di Sforza non tardarono a venire alla conoscenza di Carlo VII. Per una lettera del 5 dicembre [1455]. Per una lettera del 5 dicembre gli aveva ingiunto di fare riparare a un attentato contro l’autorità reale commesso nella contea di Asti. [ASM 14 gennaio 24 febbraio 8 marzo 25 gennaio 14 e 21 febbraio 21 e 22 gennaio Sforzesco Missive 34 8 fr 10 f 26 v]. Il 12 febbraio 1456 gli scriveva di nuovo. Avendo appreso che si facevano degli assemblamenti di truppe ad Alessandria per invadere certi paesi vicini, e specialmente gli stati del duca di Savoia, il re gli inviava due ambasciatori per lamentarsi a questo proposito e informarsi sull’esattezza dei fatti [ASM Francia]. Sforza di affrettò a protestare le sue intenzioni pacifiche riguardo al duca di Savoia e la sua devozione verso la casa di Francia. Scrisse al re una lunga lettera piena di assicurazioni le più calorose [8 marzo 1456].
Riprese [Giovanni di Calabria] il cammino per la Francia a metà marzo del 1456. Ma il suo soggiorno in Italia non era stato affatto inutile: tornò con missione di domandare a Carlo VII, a nome del doge di Genova, di prendere in mano il governo della repubblica. Già, qualche mese prima, il re aveva ricevuto delle aperture da Gian-Filippo Fieschi, ammiraglio di Genova, che gli aveva proposto di rimettere la città e la signoria in sua obbedienza e, il settembre 1455, Carlo VII aveva risposto che era ben disposto a intendersi con lui a questo proposito. Il duca di Calabria ricevette da Carlo VII un mandato speciale per trattare con i genovesi e il 24 maggio 1456 stipulò, a nome del re di Francia, con Battista Grimaldi, cavaliere di San Giovanni di Gerusalemme, e Antonio Grimaldi suo fratello, mandatari di Piero di Campofregoso, doge di Genova, un atto al termine del quale la signoria di Genova era trasmessa a Carlo VII, di cui il duca di Calabria sarebbe il luogotenente.
Il duca di Milano segretamente informato di quello che si preparava a Genova, non era senza inquietudine: decide di inviare un ambasciatore alla corte di Francia. Il 4 giugno [1456] dava a Tommaso Tebaldi delle lettere di credenza per Carlo VII e per i principali membri del consiglio. Appena arrivò a Gannat, in cui risiedeva il Consiglio durante il soggiorno del re nei castelli del Bourbonnais, l’inviato milanese si affretta ad inviare al suo signore una lunga missiva cifrata in cui lo mette al corrente di tutto quello che era stato fatto dal duca di Calabria e dei progetti di questo principe, il quale si disponeva a partire per la Provenza e a portarsi poi, alla testa di una flotta, a Genova, dove Fregoso doveva alzare le bandiere reali e consegnare il Castelletto [ASM]. Al ritorno del suo ambasciatore Sforza s’affretta a scrivere a Fregoso per domandargli di non legarsi con un trattato definitivo con nessun principe straniero e di non fare alcuna innovazione nei suoi stati prima della fine dell’anno. Gli pareva di avere ottenuto la promessa.
Il duca di Milano volendo penetrare i disegni di Carlo VII reinvia a Tibaldo alla sua corte [7 dicembre 1456]. Ecco quello che Tibaldo diceva relativamente ai disegni di Carlo VII su Genova. [Vedi Kendall-Ilardi].
Il duca di Milano non trascurava alcun modo per conservare le buone grazie del re.
Lettera del 14 febbraio di Tebaldo Tebaldi: l’influenza del conte di Dammartin e dei suoi amici è in diminuzione e impallidisce davanti al credito del conte di Dunois. Si attendono a metà di marzo il re Renato, il duca d’Orléans, il conte di Foix, il duca di Bourbon, il conte del Maine, il duca di Calabria e altri signori; il conte di Nevers venait d’arriver e si dice che il venait menager un accomodamento tra il delfino e suo padre. Il duca di Savoia ha rinunciato a tutte le allenze che poteva avere con il duca di Borgogna e con Berna. [ASM Francia]
In un rapporto segreto, indirizzato in questo momento al duca di Milano da un capitano posto sotto gli ordini del duca di Calabria, gli si faceva sapere che questo principe si preparava a recarsi a Genova alla testa di una potente flotta.
Tibaldo ritorna il 27 aprile [1457] dalla sua missione presso Carlo VII; l’indomani Sforza lo fece ripartire. Il re, che era al corrente di tutto quello che accadeva a Milano, non ignorava gli intrighi del duca. Il 20 giugno 1457 gli scriveva per lamentarsi della sua condotta verso il duca di Savoia [ASM Francia]. Sforza rispondeva il 15 luglio per una lunga lettera in cui si dichiara pronto a fare tutto quello che il re desidera; ma, mentre manifestava l’intenzione di restare in buoni termini con il duca di Savoia, dichiarava che, se questo principe proteggeva i suoi sudditi ribelli, ne subirà le conseguenze. [ASM Missive 34 287 v e seg]. Carlo VII lo ringrazia di avere risposto così ampiamente, chiedendo che, se qualche difficoltà survenait, essa fosse risolta amichevolmente per mezzo di arbitri. [ASM Francia].
Ma, presto delle nuove griefs amenérent nuove plaintes. Da una lettera del 30 ottobre 1457, vediamo Sforza difendersi d’avere accolto proposte d’alleanza che avrebbero potuto dispiacere al re e protesta energicamente contro le insinuazioni contro di lui fatte a questo riguardo. Il s’excusait nei termini i più umili de songer a fare quoi que ce fut che potesse offendere la molto cristiana casa di cui a esempio di suo padre era stato e serait sempre fedele servitore. La situazione di Genova, sempre minacciata di un attacco dal re d’Aragona, era molto precaria. Al mese di marzo 1457 alti notabili signori che erano stati incaricati proseguire i negoziati tra il doge e Carlo VII si rivolsero a questo principe per supplicarlo di mettere un termine nel prendere la repubblica sotto la sua protezione: non dubitavano che il doge non fosse disposto a compiere le condizioni poste dal re, se questi prendesse risolutamente la cosa in mano.
Giovanni d’Angiò impiegò l’anno 1457 a fare i suoi preparativi. Il 7 febbraio 1458, a Aix in Provenza etait passé avec lui, a titolo di luogotenente generale del re e di governatore del ducato di Genova, il trattato definitivo per il quale Pietro da Campofregoso dichiarava di sottomettersi a Carlo VII. Questo trattato fu firmato di nuovo a Beaugency il 25 giugno seguente e un atto stipulato tra gli ambasciatori di Genova e i commisari designati dal re fu revetu lo stesso giorno dell’approvazione reale. Nell’intervallo l’11 maggio il duca di Calabria aveva fatto il suo ingresso a Genova.
Al momento in cui la repubblica di Genova passava sotto la dominazione di Carlo VII, Alfonso V preparava contro essa un nuovo attacco. Il suo ammiraglio, Bernardo di Villamarino, che aveva svernato a Porto Fino con 20 vascelli ricevette un rinforzo di truppe d’elite con armi e munizioni; il duca di Calabria venne appena a sbarcare quando la flotta napoletana venne a bloccare Genova. Il nuovo governatore aveva dieci galere e un certo numero di genti di guerra, ma la sua situazione non cessava di essere critica. Minacciato dalla parte del mare, doveva lottare contro un partito di malcontenti, segretamente sostenuto dal duca di Milano: Giovanni Antonio Fieschi, Raffaello e Bernabò Adorni avanzavano dalle montagne a capo di un corpo di truppe e a Genova Pietro Spinola e i suoi partigiani si tenevano pronti a dar loro man forte. Già il duca di Calabria aveva fatto i suoi preparativi di difesa quando una notiza improvvisa venne a gettare lo smarrimento tra i suoi nemici: Alfonso V era morto il 27 giugno a seguito di una breve malattia.
Qualche settimana prima Cosimo de’ Medici, prevedendo la morte vicina di Alfonso V e del papa, tracait a Nicodemo da Pontremoli, ambasciatore dello Sforza, il piano di condotta che a lui pareva dovesse essere seguito. Il duca di Milano doveva restare l’arbitro della politica francese in Italia. I francesi non avevano nulla di meglio da fare che allearsi con lui, affermare la loro dominazione a Genova, assicurarsi le concours della repubblica di Lucca e del duca di Modena, attendere la morte di Alfonso V e Callisto III, menager l’elezione di un papa disposto a sostenere i diritto dalla casa d’Angiò e marciare di comune accordo alla conquista del reame di Napoli. [24 maggio 1458]
Se Alfonso V aveva perduto la popolarità di cui aveva goduto durante lunghi anni, la casa d’Angiò conservava un prestigio che doveva favorire il trionfo delle sue pretese. Ma un ostacolo si erigeva innanzi a lei. Sforza le era ostile; esercitava sui Fiorentini una influenza preponderante, era in relazioni assidue con il delfino la cui politica consisteva nel contrastare i disegni di suo padre, incoraggiava a Genova i malcontenti e li spingeva a prendere le armi. Con una bolla del 12 luglio [Callisto III] dichiara il regno di Napoli devoluto alla santa sede. Lui stesso non nasconde le sue simpatie per la casa d’Angiò e cerca di rallier Sforza alla sua politica offrendogli se si impegnasse nella conquista del regno di Napoli di fargli restituire i suoi possessi des Abruzzes et de la Pouille et meme di aggiungere altri territori. Lontano dal rispondere a queste avances, Sforza dichiara che sosterrà con tutto il suo potere il figlio naturale di Alfonso V. Allora Callisto III sparì di scena (6 agosto); fu rimpiazzato sul trono pontificio da Enea Silvio, che prese il nome di Pio II.
Il duca di Milano, mentre dava belle parole al re Renato, felicitandosi per la presa di possesso di Genova da parte di suoi figlio a nome di Carlo VII e protestando le sue buone disposizioni riguardo alla casa di Francia [lettera di Renato a Sforza 8 giugno Lecoy de la Marche], non cessava di agire in un senso del tutto opposto alla politica reale. A una lettera di Carlo VII, che lo informava della occupazione di Genova e rimproverava di incoraggiare i malcontenti di questa città, rispose con le sue banali dichiarazioni di ben volere e di devozione. Il re non si ritenne affatto soddisfatto: gli invia uno dei suoi consiglieri, Jean d’Amancier [è chiamato Johanno de Mansi nel documento citato la nota seguente], con missione di fargli sapere che lui prende in mano gli interessi del suo illustre fratello, il re Renato, nel reame di Napoli e di domandargli di prestare assistenza al duca di Calabria dans suo governatore di Genova. Il re conta su Sforza per aiutare il re Renato a recuperare il suo regno e considererà come fatto a lui stesso quello che farà a questo riguardo; aveva ugualmente fiducia che il duca di Calabria riceverà da lui «favore, aiuto, plaisir et courtoisie» per tutto quello che avrà da fare a Genova; denuncia nello stesso tempo i maneggi del marchese del Finale, vassallo di Sforza, che, a dispetto del suo giuramento e degli avvertimenti dati, si mostra ostile al duca di Calabria [istruzioni date a Vendome il 3 settembre 1458; lettera senza data (evidentemente dello stesso giorno)].
Carlo VII invia nello stesso tempo un ambasciatore alla repubblica di Firenze, che gli aveva recentemente inviato delle calorose felicitazioni riguardo l’occupazione di Genova, dichiarandosi pronta ad assecondarla, per informarla dei suoi disegni nel regno di Napoli e domandare di non prestare alcun aiuto al figlio di Alfonso V. Miles d’Illiers, decano di Chartres, ambasciatore del re, aveva missione di recarsi poi dal papa per sollecitarlo di non concedere affatto l’investitura a Ferdinando, scomunicato dal suo predecessore. Il gonfaloniere di giustizia domanda una proroga per consultare l’assemblea dei notabili, tre giorni dopo una deliberazione era stata presa. La repubblica protestava il suo attaccamento verso la casa di Francia, faceva grande caso del duca di Calabria che nel corso del suo soggiorno a Firenze si era mostrato saggio, modesto, pieno d’amenite e di benevolenza; ma era legata verso la casa d’Aragona da un trattato al quale non poteva mancare, senza violare la fede giurata; domandava dunque al re di accontentarsi di quello che poteva fare, tout en salvaguardava il suo onore. L’ambasciatore aveva ben insistito; il vescovo di Marsiglia, che arrivò dopo, a nome del re Renato, aveva ben impiegato tutta la sua eloquenza per ottenere il concours della repubblica, tutto fu inutile: i fiorentini dichiaravano che si consideravano come lies e non intendevano affatto sottrarsi agli impegni contratti.
Questa era la politica ufficiale di Firenze. Ma aveva un politica occulta: in questo momento meme il grande cittadino che aveva conquistato con i suoi conseils une place così importante parait avere fatto presso il duca di Milano le più pressanti demarches per allinearlo alla causa di Renato e di suo figlio, ricordandogli i suoi obblighi verso la casa d’Angiò, i suoi griefs contro il re d’Aragona, facendogli osservare che i rappresentanti di questa casa erano in una situazione disperata e esortandolo a non resuscitare un morto.
Né le rimostranze di Carlo VII, né i consigli di Cosimo de’ Medici esercitarono la minima influenza sulla condotta di Sforza.
Mentre Carlo VII si occupava attivamente di sostenere il duca di Calabria a Genova e gli inviava dei rinforzi [novembre-dicembre 1458], il duca di Milano dava asilo ai genovesi rivoltosi e incoraggiava le loro menees. Carlo VII gli scriveva di nuovo il 21 novembre [1458] per rimproverare la sua condotta; inviava un ambasciatore, Guillaume Toreau, incaricato nello stesso tempo di recarsi presso il duca di Savoia e il marchese di Monferrato. Gli intrighi di Sforza portavano i loro frutti, perché Pietro di Campofregoso cominciava a causare dei seri imbarazzi al duca di Calabria e si attirava dei vivi rimproveri da parte di questo principe. Invano da parte sua il re Renato scriveva a Sforza per rimproverargli la sua attitudine ostile alla quale non voleva credere [lettera del 18 dicembre ASM Napoli].
Nel mese di Gennaio 1459 apparvero alla corte di Carlo VII a Tours ambasciatori di Milano, Venezia, Firenze e altri stati d’Italia. Verso lo stesso periodo, il vescovo di Marsiglia e Giovanni Cossa furono inviati a Milano dal duca di Calabria per fare un’estrema rimostranza allo Sforza. Il duca di Calabria lo supplicava di sostenere quegli stessi diritti [sul regno di Napoli] che aveva difeso armi alla mano
Queste proposte non trovarono alcun credito presso il duca di Milano. Invitava il duca di Calabria a riflettere seriamente prima di lanciarsi in un’impresa che sarebbe probabilmente sopra le sue forze.
Sforza aveva accolto nei suoi stati Pietro da Campofregoso che, sotto pretesto che non si adempivano gli impegno contratti a suo riguardo, aveva abbandonato Genova; gli facilitava i modi di assoldare truppe con l’argento che gli faceva passare Ferdinando e lo autorizzava a mettere alla loro testa uno dei capitano più rinomati della sua armata, Tiberto Brandolini.
Mentre il duca di Calabria s’affermava sempre di più nel governo di Genova, ottenendo la sottomissione del marchese del Finale, mettendosi in relazioni con il re d’Inghilterra Enrico VI, un attacco si preparava nell’ombra. Pietro da Campofregoso tentava un colpo di mano. Un nuovo tentativo, fatto il 13 settembre, fu ancora più fatale ai suoi avversari. Giovanni d’Angiò poteva credersi ormai al riparo da ogni attacco: si decise a tentare la conquista del regno di Napoli; il 4 ottobre s’imbarcò.
Carlo VII perseguiva la realizzazione dei suoi disegni sull’Italia e cercava di rendersi i diversi stati favorevoli. Sperava di avere l’appoggio delle repubbliche di Firenze e di Venezia. Delle pratiche pressanti erano state fatte presso la prima e un ambasciatore era stato inviato alla seconda nel mese di marzo [1459]. Carlo VII decise di inviare a Venezia un’ambasciata solenne. Dopo 6 settimane di soggiorno ad Asti [erano arrivati il 31 agosto], i due ambasciatori [Jean de Chambes e Georges Havart] si misero in viaggio. Arrivarono a Venezia il 21 ottobre.
Il 25 il senato di Venezia delibera sulle aperture fatte a nome di Carlo VII; esse vertevano su 4 punti: ricordo delle vecchie alleanze tra la corona di Francia e la repubblica di Venezia; occupazione di Genova da parte della Francia; impresa sul regno di Napoli; conclusione sulle proposte d’alleanza fatte dall’ambasciatore. Il senato testimoniava il suo attaccamento alla casa di Francia; aveva visto con piacere la dominazione reale stabilirsi a Genova e non avrebbe fatto nulla che avrebbe potuto mettere ostacoli ainsi qu’il en avait donné l’assurance à plusieurs reprises au duc de Calabre; era tutto disposto a unirsi al re, le cui imprese erano certamente dirette dans uno spirito di saggezza; sarebbe sempre disposto a fare tutto quello che potesse aumentare la gloria e il potere della casa di Francia e fosse a la fois utile e onorevole per il regno e per la repubblica. Gli ambasciatori trovavano questa risposta bella e onorevole, ma non gli dava affatto una soddisfazione sufficiente; domandavano che si precisasse di più. Il doge disse lo che occorreva pour cela convocare una più numerosa assemblea. Ma gli ambasciatori vedevano bene che si ritardava a fare la seconda risposta in attesa di notizie di quello che faceva monsignor di Calabria. Questa risposta viene portata il 5 novembre. Abbiamo la deliberazione del senato del 2 novembre; essa è stata conclusa nei termini più vaghi, eludendo ogni spiegazione, sia sull’appoggio che la repubblica presterebbe al re se volesse vendicarsi de ceux che seminavano il torbido a Genova, sia sull’atteggiamento che essa prenderebbe relativamente a l’impresa nel regno di Napoli. La missione degli ambasciatori era completamente fallita

Capitolo XIII
Politica di Carlo VII in Inghilterra dopo le noie con il duca di Borgogna.
Margherita d’Angiò al potere, si riconcilia un momento con il duca di York, aperture fatte da questo principe al re, che risponde, relazioni del duca di Borgogna con il partito Yorkista, minace d’invasione degli Inglesi, doppia trattativa aperta dal governo inglese con Filippo il Buono e con Carlo VII; Wenlock e Gallet a Mons, poi a Rouen, le loro proposte sono trasmesse al re, risposta che questo fa. Missione del conte d’Etampes.
Abbiamo visto che nel mese di ottobre 1456 Margherita d’Angiò era riuscita a riprendere possesso del potere. Le rivalità non cessarono affatto, ma, per qualche tempo, non degenerarono affatto in lotta aperta. La regina teneva suo marito lontano da Londra, per sottrarlo al dominio del duca di York. All’inizio del 1458 un tentativo ebbe luogo per riconciliare la regina e il duca. In un grande consiglio tenuto a Londra il 14 febbraio un accordo intervenne e la pace fu assicurata per un anno. Il conte di Warwick, l’amico del duca di Borgogna, restava padrone delle forze navali. Senza posa gli inglesi temevano di vedere Carlo VII fare una nuova discesa sulle loro coste. Verso la metà di maggio il duca di York fece delle aperture a Carlo VII, promettendogli grandi vantaggi se lo avesse sostenuto nella sua querelle con la regina; queste proposte furono respinte. A metà di giugno furono tenute delle conferenze a Calais tra il conte di Warwick e gli ambasciatori del duca di Borgogna [Il 14 maggio Enrico VI dà poteri al conte di Warwick e ad altri ambasciatori e un salvacondotto agli ambasciatori del duca. Questi furono impegnati in questi negoziati dal 27 maggio al primo luglio. Il 3 giugno erano a Calais dove sotto pretesto di rinnovo di trattati, si discussero questioni politiche], che non tardò ad inviare un’ambasciata in Inghilterra [salvacondotto di Enrico VI del 12 luglio]. E’ molto probabile che da questo momento una convenzione segreta fosse stipulata dal duca con il partito Yorkista. Le trattative tenuta a Calais e a Londra proseguirono a Bruges nel mese di agosto. Il n’etait bruit alors en France que di un’incursione di Inglesi sulle coste di Cotentin e in altri punti: vediamo Carlo VII prendere delle misure energiche per respingere questa invasione [Documento del 10 agosto 1458].
Qui si colloca una trattativa assai oscura, perseguita dagli Inglesi contemporaneamente con il duca di Borgogna e con Carlo VII. il 29 agosto un’ambasciata sbarcò ad Anversa. Dopo aver visto il duca di Borgogna, aveva il compito di recarsi a Rouen per incontrarsi con i rappresentanti di Carlo VII. Il duca di Borgogna ricevette gli ambasciatori inglesi a Mons alla fine di ottobre. Correva voce che gli venissero a fare proposte d’alleanza.
Le trattative [con gli inviati di Carlo VII] si aprirono a Rouen nel mese di dicembre. Si esaminarono i modi per arrivare ad una pacificazione. Gli ambasciatori inglesi chiesero che, per facilitare le trattative, si concludesse una tregua, sia di un anno, sia di due o tre, secondo la volontà dei due principi.
Il re fece dire agli ambasciatori inglesi che, per quanto trovasse un po’ strana la proposta riguardante la tregua, non rifiutava affatto di accoglierla.
Filippo invia suo nipote, il conte d’Etampes.

Capitolo XIV
Rottura imminente tra Carlo VII e Filippo il Buono
Successi della politica reale in Germania, Inghilterra e Italia; il duca di Borgogna, minacciato da tutte le parti, conta sulla morte vicina di Carlo VII; brusco mutamento delle cose in Inghilterra: sconfitta della regina a Northampton; intrighi dello Sforza in Italia; sforzi del re per ottenere il concorso della repubblica di Firenze, lagnanze presso lo Sforza e presso gli altri stati italiani, Sforza tenta di giustificarsi e invia un ambasciatore al re, risposta di Carlo VII; ambasciata del duca di Bretagna per sostenere i diritti del duca d’Orléans sul ducato di Milano, nuovo lagnanze indirizzate da Carlo VII a Sforza; relazioni dello Sforza con il duca di Borgogna e con il delfino; trattato stipulato tra Sforza e il delfino.
Ma se l’orizzonte diveniva sempre più minaccioso per il duca di Borgogna, questo aveva un alleato sul quale contare: la morte. Gli avversari di Carlo VII non ignoravano affatto che la sua vita era seriamente minacciata. Gli avvertimenti a questo riguardo venivano loro da tutte le parti. A metà del 1460 un ambasciatore accreditato dal duca di Milano presso il papa scriveva al suo signore all’uscire da un’udienza: «Per quel che riguarda il progetto di intrattenere buoni rapporti con il duca di Borgogna e il delfino e anche con il re d’Inghilterra, sans faire aucune démonstration, de crainte d’irriter i Francesi, sua santità l’approva e mi ha detto parlando con me di questa materia: «Otto, sono informato che il re di Francia è molto gravemente malato e in pericolo di morte». [15 giugno 1460 ASM] La notizia era conosciuta alla corte di Borgogna come alla corte di Milano: si sapeva che Carlo VII era vecchio avant l’age, oppresso da infermità, e che aveva i suoi giorni contati.[Si legge nello stesso dispaccio: «Si che tale intelligentia in quel caso saria stata opportuna, ma dapoi e guarito; pur gli pareria che col Delfino si dovesse strengere bene, esendo lo Re vecchio ed infermo, e da credere debia vivere puoche, et ad quello regno ha pur à succedere dicto Dalfino.»]
Il 10 luglio l’armata reale [inglese] era messa in fuga a Northampton; Enrico VI cadeva in potere dei ribelli ed era condotto a Londra.
Vi era in Italia un principe che seguiva con occhio attento gli avvenimenti che si realizzavano in Inghilterra, sperando che la lotta dei partiti causasse a Carlo VII così gravi problemi da costringerlo a distogliere la sia attenzione dagli affari italiani. Questo principe non era altri che il duca di Milano. Sforza considerava il trionfo del duca di York come fatale per Carlo VII, essendo il partito Yorkista intimamente legato al duca di Borgogna e al delfino et devant, une fois maitre du pouvoir, contracter avec eux une alliance.
All’inizio del 1460, Carlo VII aveva inviato un’ambasciata alla repubblica di Firenze per indurla a dichiararsi in favore di re Renato. Se i Fiorentini e il duca di Milano persisteranno nel loro comportamento equivoco, dovranno temere il giusto courroux del re, che si disponeva ad inviare in Italia delle forze notevoli. I fiorentini risposero par la meme fin de non-recevoir qu’ils avaient dejà opposée a Carlo VII e a re Renato: quel che fosse il loro attaccamento al re di Francia e a re Renato, erano legati da trattati. Gli ambasciatori insistettero invano dicendo che il re, la cui potenza aumentava ogni giorno, aveva l’adesione di tutti i principi di sangue. [L’ambasciata fu ricevuta il 2 marzo 1460; la risposta definitiva fu data il 7 marzo.]
E’ a Milano che si trovava il nodo della difficoltà. Carlo VII tentare di trancher. Il 24 marzo 1460 scrisse a Sforza per lamentarsi contemporaneamente che favorisse a Genova i complotti del partito ostile alla Francia e che intralciasse con tutti i modi in suo potere l’impresa del duca di Calabria.
Rispondendo al re il 12 maggio protestava la sincerità delle sue intenzioni [«Respondo che se alla Maestà Vestra fosse stata esposta e rescrita la verità delle predicte cose de Zenoa e del Reame come sonno passate et passano, me rendo certissimo che la Maestà Vestra havesse de me quello bono concepto et oppinione quali debia havere de caduno devoto servitore suo; quale connuò so stato et so, et delibero perpetuò essere».] Il 24 maggio dava a Emanuele di Jacopo ampie istruzioni contenenti una lunga difesa della sua condotta: tutto quello che era avvenuto in Italia dopo la spedizione di re Renato in Lombardia, non sarebbe affatto accaduto se questo principe non fosse affatto partito. In un paragrafo speciale rispondendo alle lagnanze che Carlo VII gli aveva fatto rivolgere circa le sue relazioni con il delfino e il duca di Borgogna, Sforza dichiarava che era vero che aveva ricevuto a deux reprises un ciambellano del delfino, Gaston du Lyon, ma che non aveva stretto alcuna intelligenza con questi principi e si era limitato a dare al delfino il consiglio di riconciliarsi con suo padre. [Charavay t. I p. 323]
Carlo VII non fu abbindolato dalle menzognere assicurazioni del duca di Milano. Noi abbiamo la risposta che fece al suo ambasciatore [ASM].
Il governatore di Genova, Louis de Laval, si lamentava sempre delle menees ostili del duca di Milano e chiedeva che il re inviasse un contingente di truppe a Savona. Carlo VII non poteva agire a mani armate contro Sforza: si decise ad impiegare le vie diplomatiche. A metà luglio un’ambasciata partì per il nord Italia; era inviata a nome del duca d’Orléans, del conte d’Angouleme e del duca di Bretagna e andava a proporre al duca di Modena, marchese di Ferrara, e alla repubblica di Venezia, di formare, con questi principi, una lega contro il duca di Milano. Lo scopo da raggiungere era detronizzare Sforza a profitto del duca d’Orléans. Se gli stati di cui si sollecitava il concorso non volevano impegnarsi in una guerra, i principi domandavano che garantissero la neutralità.
Il 26 luglio Carlo VII invia una nuova lagnanza al duca di Milano. Questa volta s’agissait di imprese contro il duca di Savoia fatte da un signore savoisien in rivolta, Giacomo di Valperga, che si vantava di avere l’appoggio di Sforza. Sforza rispose protestando le sue disposizioni amichevoli verso il duca di Savoia; non donnerait alcuna assistenza a Valperga, che non chiedeva d’altronde che di sottomettersi.
Quanto al delfino, non cessava di pressare il duca di Milano ad allearsi con lui e gli inviava messaggio su messaggio per farlo decidere.
Si dichiarava [il delfino] partigiano di Ferdinando d’Aragona contro il duca di Calabria; se Sforza desiderasse avere Asti, Vercelli e altri territori, il delfino sarebbe enchanté che li ottenesse; aveva inviato un ambasciatore al papa per ottenere il suo intervento presso il duca di Savoia.
Camulio fu ricevuto in udienza privata dal duca di Borgogna che fece invitare segretamento l’ambasciatore a stabilirsi alla corte di Borgogna. Parlò lungamente con il signore di Croy, allora in possesso di una influenza preponderante. Camuglio apprese che il delfino e il duca erano ostili a re Renato e non desideravano null’altro che lo Sforza togliesse Genova all’influenza francese. [ASM 2 ottobre Borgogna]

Capitolo XV
Carlo VII e Filippo il Buono sotto le armi
Il delfino invia un ambasciatore, risposta di Carlo VII, disposizioni segrete di Luigi, sue pretese, confidenze che fa all’inviato del duca di Milano, nuova ambasciata di West, parole del re, la situazione in Italia: relazioni del Delfino con Sforza, con i fiorentini, sollecitudine di Sforza riguardo al delfino
Allora Carlo VII ricevette una lettera di suo figlio; essa era datata 13 dicembre [1460] e gli fu rimessa da Jean West, signore di Montespedon, primo valet de chambre del principe.
Carlo VII diede una risposta di sua propria bocca il 10 gennaio [1461].
Qual era il disegno del delfino nel mettersi di nuovo in relazioni con suo padre? I dispacci di Prospero da Camogli ce lo lasciano intuire.
Inviando al re uno dei suoi più intimi consiglieri il delfino cercava di tirare il miglior partito della situazione. Poco soddisfatto dello Sforza che, malgrado il trattato del 6 ottobre, rifiutava di dare al suo protetto Giacomo di Valperga i vantaggi che reclamava in suo favore [dispaccio cifrato 23 febbraio], il delfino era entrato in intelligenza con il duca d’Orléans e con il re Renato. Louis se demandait meme s’il n’interviendrait pas di persona negli affari italiani. Così si sforzava di persuadere Sforza che suo interesse era abbandonare Ferdinando d’Aragona per sostenere Giovanni d’Angiò [Perché se reconciliaria per questo modo facilmente con el re de Franza, el qual se he cossì sdegnato de questo come de altra cosa che habbi fatto Vostra Signoria contra el duca de Lorena] Aveva quindi accolto con sollecitudine le aperture del conte del Maine. L’inviato del delfino non aveva affatto trovato alla corte il conte del Maine, che aveva allora una influenza preponderante.
Il re, alors meme que le Dauphin ne voudrait pas revenir pres de lui, consentiva a dargli, con il delfinato, le terre vicine al delfinato e alla Borgogna; gli dava inoltre Genova ed Asti e il governo del duca di Savoia, ma alla condizione che il delfino favorisse in Italia il duca Giovanni e assecondasse le vedute del re. [Che se pur el non vol el Delfino andare dal Re, el Re è contento de dargli certe terre chi confinan Delfinato al duca de Borgogna; et vole dargli Zenoa cum Ast, et insieme cum el Delfinato lo governo de duca de Savoya, al quale Delfin aspira multo. Et questo ad ciò chel favorisca in Italia el duca Johanne.]
Il conte del Maine assente al momento dell’arrivo del messaggio inviato di sua iniziativa, s’era scusato presso il delfino, incoraggiandolo a proseguire i negoziati, promettendogli i suoi buoni uffici, assicurando il principe che otterrà tutto quello che desiderasse, che sarà il signore del re e che l’ascendente del conte di Dammartin sarà annullato. […Et non dubite Delfin che obtenirà tutto…, chel sera lo maistro del re, et che Donmartin sera annullato].
West tornò dal suo signore il 7 febbraio.
Qualche giorno dopo fece venire Prospero.
[Heri el mando per me et mi condusse in loco separato et dissemi: Prospero, io vorria intendere da te che tu me solvessi questa questione: se re de Franza mi manda in Italia per favorir duca Johanne et contrariar a duca de Milano, et io prendo partito cum el re de Franza et facio liga cum el duca de Milan chi reguarda al reverso de re de Franza, como posso salvar? Al che io, cum quella modestia me fu possibile, resposi che havendo vostra signoria lo proposito reverente a Delfin et disponendo pur Delfin de haver a fare in Italia, chel principale concepto i dovesse far delfin seria intendersi cum vostra signoria, perciò che se re de Franza lo mettesse in questi cimbali a mal fin per questa via, el faria intender la prudentia sua; sin autem lo re de Franza lo mettesse in questo a bon fine come delfin facesse meglo re de Franza ne resteria più contento. Et che io non dubitava niente che quando delfin deliberassi pur de acceptar partito in Italia, facendo liga cum la signoria vostra, gli faria intendere le cose facile et le difficile. 17 febbraio]
[Al rettorno del suo messo da re de Franza, me confirmò la incertitudine ut supra, et dissemi che gli pareva quelli pensieri esser fumo 17 febbraio]
Eppure Luigi si sentiva più che mai portato a entrare in conciliazione con suo padre.
[Dice faram [conte di Saint-Pol e conte del Maine] per delfin a pié de re mirabilia 11 marzo].
13 marzo: il re di Francia ha offerto Genova, Asti e gli altri vantaggi territoriali, ma ha lasciato intendere apertamente che il delfino dovrebbe empecher toute relation entre il duca di Savoia e Ferdinando e favorire la causa di re Renato.
Il 24 dicembre [1460] Sforza dava risposta all’ambasciatore del delfino [Baude Meurin]: non voleva entrare in guerra con il duca di Savoia che occorreva impegnarsi perché non si gettasse nelle braccia del re di Francia o dei Veneziani; aveva messo segretamente dell’argento a disposizione di Valperga e teneva un corpo di truppe pronte affinché potesse servirsene al momento opportuno; aveva inviato parecchie ambasciate al duca di Savoia sia per esprimergli il suo dispiacere per il trattamento inflitto a Valperga sia per fargli sentir le conseguenze di una rottura con il delfino [24 dicembre 1460 ASM Charavay].
Baude Meurin si recò a Firenze dove gli fu data udienza il 24 gennaio 1461. Veniva a chiedere a nome del delfino che la repubblica agisse presso il duca di Savoia come alleato di questo principe, il quale era compreso nella lega tra gli stati italiani, per ottenere la realizzazione dei disegni del delfino, sia riguardo il pagamento integrale della dote della delfina, sia in vista di sottrarre il duca all’influenza di indegni consiglieri.
Il mese seguente [gennaio 1461] una ambasciata del duca di Savoia veniva a negoziare il matrimonio del figlio maggiore del principe di Piemonte con la figlia del duca di Orléans.
Non aveva provato [il Delfino] una minore soddisfazione nell’apprendere la sollevazione dei genovesi: tutto quello che potesse abbassare i principi d’Angiò, verso i quali portava un odio mortale, loro attribuendo il suo dissidio con il padre, era de nature a le rejouir. Il suo ambasciatore venait de revenir dalla corte di Francia, dove il partito del re di Sicilia era più potente che mai e non sembrava più preoccuparsi di recuperare le buone grazie di suo padre. [El dì sancto de Pascha el delfin mandò per mi ad festigare come se sole in tale dì et inter lo rasonare me disse che l’era quatro dì chel havera novelle de Zenoa et per l’odio grande che l’ha al duca Johanne et tutta sua linea quale reputa essere quello che lo ten lo squaderno con lo re de Franza sua signoria non poteva celare lo piacere ne haveva dicendomi che non più tosto me l’haveva dicto per respecto de li di alieni da le cose mondane. 9 aprile Prospero].
[La cui parte è quella che governa al presente el re de Franza. Prospero 15 aprile]

Capitolo XVI
L’amministrazione dal 1454 al 1461
Grandi riforme di Carlo VII, carattere delle riforme, soppressione delle alienazioni del dominio, opposizione che incontrano le eccezioni a questa misura, liberalità riguardo ai principi di sangue, omaggi resi dai duchi di Borgogna, processo del conte d’Armagnac, cambiamenti nel personale dei grandi uffici, nuovi elementi introdotti nel Consiglio
Louis de Beaumont senescalco de Poitou, Antoine de Chabannes
Abbiamo raccontato la campagna intrapresa nel 1455 contro il conte d’Armagnac, di cui tutti i possessi erano stati confiscati. Giovanni V fu ajourné a comparire, il 20 novembre 1456, davanti al Parlamento di Parigi. Il 24 novembre, un giudizio di contumacia fu reso contro di lui e fu ajourné di nuovo per il 15 maggio 1457. Il conte decise di presentarsi davanti al Parlamento. La causa s’aprì il 14 marzo 1458 a porte chiuse.
I consiglieri più influenti [nell’ultimo periodo di regno di Carlo VII] sono il conte di Dunois, il conte del Maine, il conte di Foix, l’ammiraglio di Bueil, Jean d’Estouteville, Jean Bureau, Etienne Chevalier, Antoine d’Aubusson e Guillaume Cousinot.

Capitolo XVIII
Ultimi momenti di Carlo VII
Il re abreuvé d’amertumes per gli intrighi del delfino; complotti e arresti; i consiglieri fedeli e i dubbi, ultimo colpo portato dal delfino: la lettera a Antonietta di Maignelais; il re si crede circondato da traditori
I rari dati che noi possediamo ci mostrano che, sur divers points du royaume, dei complotti si tramavano nell’ombra, numerosi prigionieri erano fatti, processi istruiti, esecuzioni capitali ordinate [imprigionamento del sindaco di Poitiers, nel giugno 1457, di Colas Jurasson, complotto a Caen, lo stesso anno, criminale di lesa maestà imprigionato a Granville, nell’aprile 1458, prigionieri criminali a Rouen nel 1457 e 1458 arresto di uno chiamato Forestier 17 febbraio 1459, inchiesta fatta nel 1459 su una cospirazione contro il re informations faites nel luglio e settembre 1459 al castello di Coudray, à Chinon, contro Julien de Vienne, figlio del defunto Guillaume de Vienne: relazioni con emissari del delfino, numerosi arresti nel 1459 [Camuglio 18 giugno 1461] se si vuole sapere quali erano quelli sui quali il delfino aveva da guadagnare non si ha che da studiare i documenti dei primi anni del suo regno: a fianco di numerose disgrazie o destituzioni di cui sono oggetto i personaggi i più addentro nell’intimità di suo padre, come il conte del Maine, il cote di Foix, Dunois, Brezé, Chabannes, il cancelliere Jouvenel des Ursins, l’ammiraglio de Bueil, le grand maitre Gaucourt, il maresciallo di Lohéac, le grand maitre des arbaletriers Jean d’Estouteville, Cousinot, Etienne Chevalier, etc.
il mese dei dicembre 1457 il re cadde malato e in un modo così grave che si poteva credere che non si sarebbe ripreso. Dopo essere stato parecchi giorni tra la vita e la morte, riprende poco a poco la salute.
Il y avait à la Cour una femme qui, tout effacé que put etre son role, comparé avec celui qu’elle avait eu dans les premieres annees de sa faveur, n’en continuait pas moins à avoir une grande influence, et poursuivait ses intrigues interessees. Antoinette Mademoiselle de Villequier Era grazie a questa donna che il delfino era il meglio informato su quello che accadeva a Corte: intratteneva con lei una corrispodenza segreta.
Fece volutamente cadere nelle mani di un valletto della camera del re una lettera scritta a Antonietta, dove aggiungeva: ho avuto similmente delle lettere del conte Dammartin, che io fingo di odiare, che sono simili alle vostre. Ditegli che mi serve sempre bene, nella forma e nel modo che mi ha sempre scritto par ci-devant, penserò alle materie di cui mi ha scritto e prestò saprà mie notizie. [Genappe 30 aprile 1461] Il valleto di camera porta le lettera al conte del Maine, il quale la mostra al re. «Non posso credere, disse il re al conte del Maine, che il conte Dammartin mi voglia fare qualche vile scherzo». Ma il conte del Maine, che detestava Chabannes, ottenne, si dice, che fosse esiliato a Saint-Fargeau. [Cronique martinienne].

Pièces justificatives
VI
Il re a Antoine de Chabannes
Bois-Sire-Amé, 27 maggio 1455
Le sire de Lornay est presentement retourné du lieu où il avoit esté envoyé, et a apporté toutes bonnes nouvelles sur les matiéres dont il avoit eu charge.
VIII
Il re a Antoine de Chabannes
Bois-Sire-Amé, 26 settembre 1455
Et de nostre disposicion avez peu estre acertené par Jehan d’Amancy, lequel avons envoyé par delà, et en pourrez estre acertené plus à plain par lesditz bailly de Coustantin et maistre Pierre Burdelot.
XI
Il re a Jean Dauvet
Montluçon 16 gennaio 1456
Et au regard de procès et autres besongnes touchant le fait de Savoia et des Cyprians, lesquelz avez entre mains, nous voulons que les baillez et laissez à nostre amé et feal Tristan Lermite, prevost des mareschaulx, et sur le contenu lui en dictes vostre opinion.
XV
Il re a Antoine de Chabannes
Saint-Pourcain, 25 ottobre 1456
Et quant à la venue par devers nous desditz beau cousin et belle cousin de Savoye, nous en sommes bien joyeux et contens. Et, comme vous avons escript, nous semble qu’elle sera expedient et convenable pour le bien des matières.
Nous avons veu bien au long, par voz autres lettres que nos avez escriptes par vostre dit homme, le bon vouloir desditz beau cousin et belle cousin de Savoye, dont sommes bien contens. Et pour ce que esperons que de brief ledit beau cousin sera par deça, nous deportons pour le present de leur escrire.
XXII
Il re a Antoine de Chabannes
Montils-les-Tours 24 dicembre 1457
Nostr amé et feal, quant vous nous avez fait demander congé pour aller en voz affaires en Bourbonnois, vous ne nous avez point fait dire en quel temps seriez retourné devers nous. Et pour ce que nostre intencion est de faire venir ici, vers la fin du moys de janvier, de noz gens d’armes et besongner en noz autres affaires, ausquelles choses faire voulons bien que soyez, nous vous mandons ces choses, affin que facez dilligence de faire vos besongnes si dilligemment que puissiez estre au temps dessus dit devers nous, ou plus tost se avez achevè voz besoingnes.
XXVI
Il re a Francesco Sforza
Razilly, 24 marzo 1460
Car nostre entencion est de porter aide et soustenir nostre dit beau frère de Secille et nostre dit neveu de Calabre à la recouvrance dudit royaume, et ne pourrions ne vouldrions reputer pour amys et bienvueillans ceulx qui leur yroient au contraire.
XXVIII
Il re a Francesco Sforza
La Salle-Le-Roi, 23 settembre 1460
Très chier et amé cousin, nous avons receu voz lettres responsives à celles que vous avons escriptes, par lesquelles voz lectres nous acertenez que à Jacques de Walpargue, duquel vous escrivions par nos dictes lectres, ne à Loys son frere, n’avez donné et ne vouldriez donner aucun support, faveur ne aide à l’encontre de nostre très chier et très amé cousin le duc de Savoye, et ne lui avez baillé aucuns de voz gens ne souldoyers, ainçois avez envoié ès places dudit de Walpargue pour faire commandement sur griefves peines à tous les gens et souldoyers, s’aucuns y en avoit, qu’ilz en saillissent hors et audit de Walpargue ne donnassent aucune faveur ou aide. Et avec ce avez fait dire à nostre dit cousin que s’aucuns d’iceulx voz souldoyers donnoient aucun secours ou aide ausdiz de Walpargue à l’encontre de luy, icellui nostre cousin les pugnisse de peine de mort. Desquelles choses avons esté et sommes bien contens et vous en remercions; et avons bien esperance que le farez ainsi que nous escripvez.

Jean de Lornay
p. 168 v. V
Jean de Lornay fut envoyé de Tours vers le duc de Savoie au commencement de 1452
p. 186-187
Nel mese di agosto [1452] Jean de Lornay, signore savoyard impiegato da Carlo VII nelle trattative diplomatiche, è inviato in Svizzera
[il 14 gennaio 1453 Carlo VII dà a Jean de Lornay una pensione di 300 livres.

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