12. Una digressione necessaria sui ff. 19-20 di Missive 44

Per comprendere quanto accadde nei giorni successivi la ricezione delle «prese» da parte dell’ambasciatore sforzesco, è necessario considerare i due fogli mancanti in Missive 44, di cui si è già parlato nel sottoparagrafo 1.4. e nell’introduzione del paragrafo 8.
In letteratura non viene avanzata alcuna ipotesi che consenta di spiegare perché questi fogli siano stati tolti dal loro registro di provenienza né, come già rilevato nella nota 11, quale sia il significato delle linee oblique, quasi verticali, tracciate centralmente rispetto alla larghezza della pagina, da cui sono caratterizzati. Una linea di questo tipo percorre tutto il f. 19r, depennando #M44-19r [A]#, #M44-19r [B]# ed #M44-19r [C]#. Nel f. 19v è barrata solo la centrale #M44-19v [B]#, mentre nel f. 20v un’unica linea è tracciata su #M44-20v [B]# e #M44-20v [C]#. Le lettere non depennate sono #M44-19v [A]#, #M44-19v [C]-20r# e #M44-20v [A]#. L’unica pagina non interessata dalla linea è 20r, che contiene la prosecuzione di #M44-19v [C]-20r#.
Per avanzare un’ipotesi a proposito delle missive non barrate, può essere utile esaminare #M44-19v [A]#, confrontandola con #M44-20v [B]#.

Il «saculum» delle dodici lettere portato da «Iohanne Mognaga»

#M44-19v [A]# – 28 aprile 1458

«Domino potestati Iporigie»

Sentiamo che uno deli nostri cavallari, chiamato Iohanne Mognaga, venendo da quelle parte de Savoya era capitato lì et tandem ha finito lì la vita sua et le lettere quale portava, che dicono so[n]o dodeci a numero, et cussì lo cavallo, dinari et le altre sue cosse s[on]o remaste in le vostre mane. Pertanto ve confortiamo et pregamo, […], che le dicte lettere, necnon lo cavallo, et tute le altre cosse del predicto nostro cavallaro le vogliate fare consignare a questo altro cavallaro portatore dela presente, lo quale mandiamo lì solamente per questa casone, […].

#M44-20v [B]# – 30 aprile 1458

«Micheletto, ex dominis Polzaschi Ypporee»

Per nuncium vestrum, harum exhibitorem, recepimus litteras vestras necnon saculum litterarum quas nobis defferebat Iohannes Mognaga, olim tabellarius noster, quem scribitis esse defunctum et vestra opera ecclesiastice sepultum. Respondentes, im[pri]mis dolemus de ammissione dicti tabellarii nostri, […], post[modum], pro diligentia laudabilique opera vestra in predictis, vobis gratias agimus ingentes […].

In #M44-19v [A]#, datata 28 aprile 1458, Francesco Sforza scrive «potestati Iporigie» di avere saputo che a Ivrea è morto Giovanni Mognaga, cavallaro ducale di ritorno dalla Savoia. Il duca prega il podestà di consegnare al cavallaro a lui ora inviato quanto Giovanni Mognaga aveva con sé: le lettere, che pare siano dodici, il cavallo e «le altre cosse». Due giorni dopo in #M44-20v [B]# Francesco Sforza ringrazia «Michelettum, ex dominis Polzaschi Ypporee», per l’invio del «saculum litterarum quas nobis defferebat Iohannes Mognaga», che è stato consegnato al duca da un «nuncium» dello stesso podestà.
La sequenza appena descritta consente di affermare che #M44-19v [A]# sia stata registrata fra il 28 e il 30 aprile (o almeno così si voglia far credere) prima dell’arrivo a Milano del «nuncium» di Michele Piossasco con il sacco contenente le dodici lettere: l’arrivo del «nuncium» rese inutile la partenza del cavallaro sforzesco per Ivrea e quindi la spedizione della lettera da affidargli. #M44-19v [A]# è dunque missiva registrata ma non inviata: ecco perché non risulta depennata, a differenza di #M44-20v [B]#, spedita e per questo motivo barrata [96].
L’ipotesi che le missive non depennate corrispondano a lettere registrate poi non inviate pare confermata dall’esame di #M44-19v [C]-20r# rispetto a M44-21r [C]. Queste ultime due sono missive dirette a Pietro da Gallarate, uomo «imparentato con Bianca Maria Visconti» [97] che nel marzo del 1458 sposò «una donna della famiglia astigiana dei Roeri o de Rottaris» [98] il cui fratello, «Francesco Royer di Genappe» [99], signore di Poirino (comune in provincia di Torino), era un membro «of the Dauphin’s household» [100] e in seguito divenne «balì di Lione e cancelliere e ciambellano di Luigi XI» [101]. La prima lettera, datata 28 aprile 1458, è piuttosto lunga: può essere utile proporne di seguito il testo.

Petro. Havemo recevuto la toa littera et inteso quello ne scrivi del grandissimo piasere hano recevuti tuti quelli gentilhomini della andata toa là, come dela gratissima acoglientia te hano facto tuti quelli toy parenti, così dela consolatione et dolceza grandissima quali trovi in havere mogliere etc., ala quale respondendo te dicimo che siamo certissimi loro te habiano veduto volenteri, ma credemo ancora che tu non habi recevuto mancho consolatione a vedere loro et molto ne piace confermi la sententia nostra che ad togliere donna sia una somma dolceza. Così te confortamo ad stare di bona voglia, che ogni dì te ne trovaray più alegro et più contento. Dele cose ne scrivi dellà restamo molto satisfacti et, ad ciò tu intendi la cagione della andata de Iob alo magnifico baylì, te avisamo che non è stato puncto per intendere novelle dellà, che nuy ne siemo advisati per altre vie ad bastanza, ma solo lo havimo mandato per rechiedere passo per alcune gente quale havevamo deliberato mandare al secorso alle terre de domino Aluyse Bollero, nostro recomendato, per satisfare al debito et obligatione nostra, quale baylì ne ha mandato a dire non esser necessario lo mandare d’esse nostre gente, perché la serenissima maiestà del re de Franza, così anche il serenissimo re Renato, hano proveduto che le gente sonno contra esse terre se levarano. Nuy sarimo molto contenti non bixogni, ma, quando pur bisognasse, nuy siamo disposti adiutare esso messer Aluyse per fare lo debito nostro et se rendemo certi la maiestà del re de Franza non ne mancharà del passo, mandando nuy ditte nostre gente per satisfare ale obligatione nostre solo per adiuto et deffensione delle terre d’esso domino Aluyse et non per fare cosa alcuna molesta alla soa maiestà, como ad suo piaxere per simile caxone porria soa maiestà mandare sempre per le terre nostre, quale gli siamo devotissimo figliolo como tu say. Delle feste nostre de San Zorzo non te dicimo altro, se non che te certificamo poy siamo a Milano né inanzi non vedessi may la simile ad vedere fare facti d’arme ordinatissimi suxo la piaza del castello et pigliarsi li homi d’arme per presoni como se fa nela guerra. La illustrissima magnifica nostra consorte aspettamo de hora in hora con Dei gratia parturisca, quale sta benissimo, e parne vedere ne bexognarà una de queste nocte levare campo con lo zuparello in spalla ad venire dal canto nostro, como tu say n’è bexognato fare dele altre volte. Voglii confortare tucti quilli gentilhomini per nostra parte, i quali havemo per singularissimi amici et de loro facemo qui bon capitale, como loro possono dire de nuy et dele cose nostre. Se dele cose de là tu hay adviso alcuno degno de fede, poray participarne cum nuy.

Francesco Sforza scrive che «la illustrissima magnifica nostra consorte aspettamo de hora in hora con Dei gratia parturisca». Due giorni dopo in M44-21r [C] il duca di Milano avvisa Pietro da Gallarate «como questa matina in ortus [102] solis la illustrissima madonna Bianca, nostra consorte, ne ha parturito uno bello putto* et così segondo el caso essa nostra consorte cum lo puto stano bene, per la Dio gratia, et sonno in bona convalesentia».
Come per #M44-19v [A]#, riteniamo che #M44-19v [C]-20r# sia stata registrata fra il 28 e il 30 aprile (o almeno così si voglia far credere anche in questo caso) prima del parto di Bianca Maria Visconti: il 30 aprile, in seguito alla nascita di Ottaviano Sforza, la missiva divenne obsoleta, perché superata dagli avvenimenti, e si decise di non spedirla, limitandosi ad avvisare Pietro da Gallarate della nascita del nuovo figlio del duca di Milano. Siamo dunque in presenza di un’altra missiva registrata ma non inviata e pertanto non depennata.

[96] In questa sede non importa stabilire quando sia avvenuta l’operazione o quando si voglia simulare sia avvenuta.
[97] Leverotti (1992: p. 172).
[98] Leverotti (1992: p. 172). Si veda al proposito anche Gallarate1 (datata 8 marzo 1458), Bossi1 (dell’11 marzo 1458), M44-1v-2r [B] (15 marzo 1458), Gallarate2 (15 marzo 1458) e Roeri1 (18 maggio 1458).
[99] Leverotti (1992: p. 172).
[100] Cfr. Kendall – Ilardi (1971: p. 83, n. 3).
[101] Leverotti (1992: p. 172).
[102] La «s» dell’errato «ortus» è depennata, in modo da ottenere il corretto «ortu».

* Nota da sviluppare.

Copia.
Rex Aragonum utriusque Sicilie etc. Illustrissime et potens dux consanguinee et amice noster carissime. Compertum est nobis iampridem inter vos et illustrissimum Franciscum Sforciam, ducem Mediolani, filium et affinem nostrum carissimum, quorundam eius commendatorum occasione quandam fuisse disceptationem exortam que, nisi, ut nunciatum est, sedetur, et vires sumere ac magis magisque profecto in dies crescere hesitatur. Quod quippe cum lege ad universalem totius Italie pacem atque quietem, superioribus iam annis inita et contracta, que vos etiam complectitur, ac vestro et quidem imprimis officio longe alienum videatur, eo certe grandi haud iniuria admiratione afficimur, cum vestrum utriusque amicitia et affinitate tum etiam quia iam pueri nos, * vi prius lacessiti, id semper effugere nixi** sumus. Quamobrem vos et hortamur et quam primum monemus quod, huic rei, veluti par est, finem imponentes, cum eodem illustrissimo mediolanensi duce suisque commendatis in pace et tranquilitate nostra presertim contemplatione vivatis, cui erga vos statumque vestrum tandem mentem esse neque pol*** ignoramus. Quod si feceritis eiusmodi pacis unioni pro qua tactis sacris deno iustis eque sancteque respondebitis et nobis magnopere morem geretis alias si secus forte quod haud facile credimus a vobis permitti aut conari posthac intellexerimus eo casu tum inter nos et illum pacis et unionis observancia partimque ob summum amorem et affinitatem quibus cum eodem illustrissimo duce astricti sumus pro quo etiam re atque tempore postulante cuncta que sub sole habemus pro constanti neque exponere dubitaremus id non equo animo sed egre et moleste admodum tolleraremus. Datum apud Turrim Sclavorum die XXV mensis aprilis MCCCC°LVIII.
Rex Alfonsus.
Sub sigillo. Dominus rex mandat mihi Gasparri Talamanca.
A tergo:
Illustrissimo et potenti principi Ludovico duci Sabaudie etc. consanguineo et amico nostro carissimo.

* Si noti come poco dopo «pueri» manchi la congiunzione «nisi», presente invece all’inizio delle lettera poco dopo «exortam».
** Si noti «nixi» poco dopo l’assente «nisi».
*** Si noti il diffilcilmente traducibile «pol».

Gli errori rilevati nella copia della lettera inviata da Alfonso d’Aragona a Ludovico di Savoia vogliono indurre il lettore a due riflessioni. Innanzitutto sommando, per così dire, «pol» a «pueri» si ottiene «pol(p)ueri», una sorta di sottoscrizione del re alle «prese» di polvere di Francesco Sforza. Che «pol(p)ueri» non sia un «risultato» casuale pare confermato dal fatto che Gallarate1, lettera di Pietro da Gallarate a Bianca Maria Visconti, è spedita «Ex Puerino».
A questo punto bisogna anche rilevare come l’assente congiunzione «nisi» crei un richiamo fra «pueri» e l’iniziale «exortam», il quale a sua volta rimanda all’errato «ortus solis» utilizzato da Francesco Sforza nell’annunciare a Pietro da Gallarate che «la illustrissima madonna Bianca, nostra consorte, ne ha parturito uno bello putto».
Poiché lo sbagliato «ortus» richiama «Arpi»-«Arpis» con il suo anagramma «Paris», con «ortus solis» si vuole alludere alla resurrezione del delfino Luigi, futuro Luigi XI (a questo proposito non si può escludere che ci si intenda riferire più propriamente alla resurrezione di Luigi IX nel delfino Luigi).
La resurrezione del delfino accostata alla nascita invita a considerare l’«uscita» del bimbo dal grembo materno come una liberazione. La resurrezione del delfino dunque «libera» Francesco Sforza dal rischio di cadere in una condizione di «subiectione» rispetto al re di Francia Carlo VII. E libera anche Alfonso il Magnanimo (e suo figlio, destinato a succedergli): si spiegano così le anomalie rilevate sopra nella copia del re (che fra l’altro reca come data topica «apud Turrim Sclavorum»). In questo contesto semantico trova espressione anche la liberazione di Ludovico di Savoia. Per ora ci limitiamo a rilevare come M44-35r [A], nella quale Francesco Sforza avvisa dell’invio di Antonio Cardano, sia diretta «Domino ducis Sabaudie»: con l’errato «ducis» da trasformare in «duci» si vuole fare intendere «Domino ducis Sabaudie», ossia al «signore del duca di Savoia», cioè al re di Francia, che Ludovico di Savoia si è sottratto alla condizione di «subiectione» grazie all’«ortus solis», vale a dire grazie all’intervento del delfino, che ha permesso al duca sabaudo di aderire a un’alleanza in cui egli è primus inter pares.
L’accostamento del tema della Resurrezione a quello della liberazione non deve sorprendere: si pensi per esempio in ambito artistico al pulpito della Resurrezione di Donatello in San Lorenzo a Firenze con la sequenza Discesa al Limbo-Resurrezione-Ascensione, realizzato dopo il 1460, nel quale la Discesa al Limbo di Cristo consiste in sostanza nella liberazione dei giusti non battezzati.

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